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Storia della Compagnia delle Indie Orientali

Storia della Compagnia delle Indie Orientali
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La storia della Compagnia delle Indie Orientali, almeno inizialmente, si identificò con la storia del commercio delle spezie. Fin dall’antichità, le spezie orientali, in particolare il pepe, la cannella, il chiodo di garofano e la noce moscata, hanno esercitato un’attrazione irresistibile sui mercati del Mediterraneo e dell’Europa, divenendo simboli di ricchezza, lusso e potere. 

Le storia del commercio delle spezie

Il commercio delle spezie affonda le sue radici nei primissimi contatti tra le civiltà del Mediterraneo e l’Estremo Oriente. Già nell’antico Egitto, le spezie erano oggetto di importazione e venivano utilizzate nei rituali religiosi, nelle pratiche di imbalsamazione e nella medicina. Le spezie erano ritenute sacre, simbolo di purezza e mezzo per connettersi al divino. Mirra e incenso, ad esempio, erano offerte comuni agli dei, tanto quanto lo sarebbero poi diventate nei culti cristiani e islamici.

Nel mondo greco-romano, il commercio delle spezie assunse proporzioni ancora maggiori. Le spezie provenienti dall’India e dalle isole dell’arcipelago indonesiano, in particolare la noce moscata, il macis, il chiodo di garofano e il pepe, giungevano ai porti del Mar Rosso e del Golfo Persico. Esse erano poi trasportate via terra attraverso le carovaniere arabe fino ad Alessandria d’Egitto o Antiochia. Da lì erano imbarcate verso Roma, Atene e le principali città mediterranee, dove il loro valore era letteralmente calcolato in oro. Il pepe nero, in particolare, era così apprezzato dai Romani da essere impiegato persino come mezzo di pagamento. Svetonio racconta che al tempo del sacco di Roma da parte dei Visigoti nel 410 d.C., Alarico pretese tra i tributi anche un’ingente quantità di pepe.

Il Medioevo

Nel Medioevo, il crollo dell’Impero Romano d’Occidente non interruppe il commercio delle spezie, ma ne complicò le rotte e ne accrebbe il valore. I commercianti arabi, forti della loro padronanza del deserto e delle rotte carovaniere, assunsero il controllo quasi totale della distribuzione delle spezie verso l’Occidente. Le Repubbliche marinare italiane, in particolare Venezia e Genova, divennero i principali snodi commerciali per l’arrivo delle spezie in Europa, fungendo da mediatori tra l’Oriente e i mercati europei settentrionali.

storia del commercio delle spezie
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L’importanza delle spezie non era soltanto legata al gusto. In un’epoca in cui la refrigerazione era sconosciuta e la carne tendeva facilmente a guastarsi, le spezie avevano una funzione fondamentale nella preparazione dei cibi. Inoltre, erano considerate potenti rimedi terapeutici. La medicina galenica medievale attribuiva loro proprietà riscaldanti, stimolanti o disintossicanti, secondo la teoria dei quattro umori. Alcune spezie erano addirittura ritenute afrodisiache, oppure capaci di allontanare i miasmi e le malattie.

L’Europa ha sete di spezie

Con l’avvento dell’alto Medioevo, il valore economico delle spezie divenne tale da farne uno dei principali motori della nascente economia mercantile europea. Il pepe, in particolare, fu utilizzato non solo come merce, ma come unità di conto. Esso era usato per pagare tasse, affitti, doti e debiti. Nella società feudale, una manciata di pepe poteva rappresentare un capitale significativo, e non a caso fu soprannominato “l’oro nero del Medioevo”.

La crescente domanda europea per questi beni preziosi spinse le potenze marinare e i mercanti indipendenti a esplorare nuove vie d’accesso ai luoghi di produzione. Tuttavia, le vie tradizionali erano dominate dagli Arabi e dai Veneziani, che imponevano prezzi elevati per il passaggio e la distribuzione. Questo monopolio orientò la politica commerciale europea nei secoli successivi, promuovendo l’Età delle Scoperte e il sorgere di compagnie commerciali con ambizioni globali. La sete di spezie, dunque, non fu solo una questione di gusto, ma il motore di un cambiamento epocale che avrebbe ridisegnato il volto del mondo.

La gilda dei mercanti di pepe

gilda dei mercanti di pepe
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Nella Londra medievale, l’anno 1180 segna la nascita della Worshipful Company of Pepperers, una delle più antiche gilde cittadine. Questa corporazione di mercanti specializzati nel commercio del pepe e di altre spezie esotiche svolgeva un ruolo cruciale nel regolamentare la qualità, i prezzi e la distribuzione di questi beni preziosi. In un’epoca in cui le spezie erano considerate simboli di lusso e status sociale, la gilda garantiva che il commercio si svolgesse secondo standard rigorosi.

Tuttavia, il commercio delle spezie subì una svolta drammatica nel 1453 con la caduta di Costantinopoli nelle mani dell’Impero Ottomano. Questo evento interruppe le rotte terrestri tradizionali utilizzate dalle carovane arabe provenienti dalla Cina e dall’India, ridistribuendo le carte commerciali del Mediterraneo. Il trasporto marittimo delle spezie divenne più pericoloso a causa dei pirati al soldo del sultano che perlustravano il Mare Nostrum. Ad esempio, il primato veneziano cadde in declino, permettendo l’emergere di nuove potenze commerciali.​

Il ruolo della gilda di Londra

In questo contesto di incertezza e instabilità, la gilda dei mercanti di pepe di Londra assunse un ruolo ancora più centrale. La gilda cercò di mitigare gli effetti dell’aumento dei prezzi attraverso la regolamentazione delle importazioni e la negoziazione di accordi commerciali alternativi. Tuttavia, la crescente difficoltà nell’approvvigionamento e la concorrenza internazionale posero sfide significative, spingendo l’Inghilterra a esplorare nuove rotte marittime e a fondare compagnie commerciali dedicate, come la futura Compagnia delle Indie Orientali.​

I primi tentativi inglesi di raggiungere l’India

primi tentativi inglesi di raggiungere l’India
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Nel corso del XVI secolo, l’Europa fu profondamente trasformata dall’espansione marittima e commerciale che caratterizzò l’Età delle Scoperte. In questo scenario, l’Inghilterra, fino ad allora una potenza secondaria negli scambi con l’Oriente, iniziò a guardare con crescente interesse alle ricchezze dell’Asia, in particolare alle spezie, che continuavano ad essere il fulcro del commercio internazionale. Tuttavia, il commercio era dominato dai portoghesi. A seguito delle esplorazioni di Vasco da Gama, il Portogallo aveva stabilito un efficace monopolio lungo la rotta del Capo di Buona Speranza, riconosciuto anche da una bolla papale del 1494 emanata da papa Alessandro VI, appartenente alla famiglia Borgia.

In risposta a questo dominio, nel 1505 fu costituita la compagnia dei Merchant Adventurers to New Lands, originariamente dedita al commercio della lana con i paesi del Vicino Oriente. Tuttavia, nel contesto delle grandi trasformazioni geopolitiche del secolo, questa compagnia divenne rapidamente un’associazione per iniziative mercantili più ambiziose. Nel 1527, uno dei membri più intraprendenti, Robert Thorne, propose a re Enrico VIII un piano audace. Cioè aprire una rotta verso le Indie navigando a nord-ovest, attraverso un passaggio artico, che avrebbe dovuto evitare sia il controllo portoghese sulle rotte meridionali che le interruzioni delle vie terrestri mediorientali.

Nuove rotte verso l’India

La proposta di Thorne era pionieristica, ma anche fortemente utopistica, poiché le condizioni climatiche, l’inesploratezza del territorio artico e l’insufficienza delle conoscenze nautiche dell’epoca rendevano quell’impresa estremamente ardua. Nonostante l’appoggio del sovrano, la spedizione non portò risultati concreti. Fu uno dei primi tentativi inglesi di trovare un passaggio a nord-ovest, una ricerca che avrebbe continuato ad affascinare gli esploratori britannici per secoli, fino alle imprese dell’epoca vittoriana.

Più fruttuoso fu il viaggio del 1583, promosso da un gruppo di mercanti inglesi desiderosi di stabilire contatti diretti con i produttori orientali di spezie e tessuti pregiati. La missione si svolse via terra, attraverso il Golfo Persico, e proseguì per nave fino all’India settentrionale, con arrivo nella città di Agra. Queste prime esperienze, benché spesso fallimentari dal punto di vista commerciale, furono decisive per la formazione dell’immaginario collettivo inglese sull’Oriente e per la raccolta di informazioni geografiche, culturali e politiche fondamentali. Esse dimostrarono l’esistenza di un vasto mercato indiano pronto ad accogliere nuovi mercanti, laddove le potenze già presenti, in particolare i portoghesi, cominciavano a mostrare segni di rigidità e decadenza. Le spedizioni degli ultimi decenni del Cinquecento rappresentarono il preludio alla fondazione, nel 1600, della Compagnia delle Indie Orientali.

La nascita della Compagnia delle Indie Orientali

nascita della compagnia delle indie orientali
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La fondazione della Compagnia delle Indie Orientali (East India Company) rappresentò una delle svolte più significative nella storia del commercio globale e dell’espansionismo britannico. Sul finire del XVI secolo, l’Inghilterra si trovava in una fase di transizione economica e geopolitica. La crescente domanda di beni orientali come spezie, seta, cotone, gemme, unita al desiderio di svincolarsi dal controllo commerciale portoghese e veneziano, spinse i mercanti inglesi a cercare un accesso diretto all’Asia. Il contesto era reso ancora più favorevole dalla crescente ostilità tra Inghilterra e Spagna, culminata con la sconfitta dell’Invincibile Armata nel 1588, evento che alimentò la fiducia nazionale nella forza navale inglese e nel destino marittimo della nazione.

Fu in questo clima che, nel 1599, un gruppo di ricchi mercanti londinesi, molti dei quali già coinvolti nella Compagnia dei Merchant Adventurers, presentò una petizione alla regina Elisabetta I per ottenere una concessione ufficiale per il commercio con l’Oriente. Il 31 dicembre 1600, mediante una Royal Charter (Lettera Patente), la sovrana accordò loro il diritto esclusivo di commerciare ad oriente del Capo di Buona Speranza e ad occidente dello Stretto di Magellano per un periodo iniziale di quindici anni. Nacque così la “Compagnia dei Mercanti di Londra che commerciano nelle Indie Orientali”, comunemente nota come Compagnia delle Indie Orientali.

Lo statuto

Lo statuto conferiva alla Compagnia un potere straordinario: essa poteva allestire flotte, costruire avamposti commerciali, stipulare trattati, battere moneta e perfino mantenere una propria forza armata. In altre parole, agiva come uno Stato nello Stato, pur mantenendo una formale subordinazione alla Corona. Il capitale iniziale sottoscritto ammontava a 68.000 sterline, diviso in quote da 50 sterline ciascuna. Si trattava di una somma notevole per l’epoca, ma modesta se confrontata con le ambizioni del progetto. Nonostante ciò, la Compagnia riuscì ad armare una flotta di quattro navi per il suo primo viaggio, affidato al comando dell’esperto marinaio James Lancaster.

Sir Thomas Roe e le prime concessioni

missione di Thomas Roe alla corte moghul
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La missione diplomatica di Sir Thomas Roe presso la corte dell’imperatore moghul Jehangir rappresentò un momento cruciale nella progressiva affermazione inglese nel subcontinente indiano. Inviato ufficialmente da re Giacomo I nel 1615 come ambasciatore plenipotenziario, Roe fu il primo rappresentante della Corona britannica a stabilire un contatto diretto con la più grande potenza asiatica del tempo. A differenza dei viaggiatori e mercanti precedenti, che operavano in condizioni precarie e spesso ostili, Roe fu investito di pieni poteri diplomatici, con il compito di negoziare accordi commerciali a beneficio della Compagnia delle Indie Orientali, la cui influenza stava rapidamente crescendo.

Il contesto in cui Roe operò era complesso. L’Impero Moghul, sotto Jehangir, era al suo apogeo: un’entità politica centralizzata, colta e opulenta, con una corte raffinata che attirava ambasciatori da tutto il mondo islamico e persino dall’Europa. Roe arrivò alla corte imperiale ad Agra portando con sé doni ricercati e lettere reali, nel tentativo di ottenere concessioni commerciali stabili, in particolare il permesso di fondare nuove “fabbriche”, termine che indicava le stazioni commerciali dotate di magazzini e uffici, ma che presto avrebbero assunto un ruolo quasi governativo.

I risultati della missione

A differenza degli approcci violenti e aggressivi di altri europei, in particolare dei portoghesi, Roe adottò una strategia paziente e diplomaticamente raffinata. Seppe guadagnarsi la fiducia di Jehangir, il quale apprezzava la cultura occidentale e mostrava curiosità per le tecnologie, le scienze e gli oggetti europei. Tuttavia, Roe dovette affrontare anche l’ostilità dei gesuiti portoghesi, ben introdotti a corte, che cercavano di screditare la presenza inglese. Nonostante ciò, riuscì a mantenere una posizione stabile, in parte grazie alla sua formazione umanistica e alla padronanza delle lingue classiche, che gli permisero di stabilire un dialogo intellettuale con la nobiltà moghul.

I risultati della missione furono concreti, seppur parziali. Roe ottenne per la Compagnia delle Indie Orientali la possibilità di commerciare liberamente nelle città portuali di Surat e altre località della costa occidentale indiana. Fu anche garantita una relativa protezione alle fabbriche inglesi contro le interferenze portoghesi e olandesi, che in quel periodo conducevano vere e proprie guerre commerciali nei mari orientali. Sebbene Roe non riuscì a ottenere un trattato scritto, la fiducia personale guadagnata presso l’imperatore si tradusse in un tacito riconoscimento dei diritti inglesi nella regione, consolidando la presenza inglese nell’India nordoccidentale.

Le minacce dei Portoghesi e degli Olandesi

storia del colonialismo inglese
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Nel corso del XVII secolo, la Compagnia delle Indie Orientali si trovò a fronteggiare due formidabili rivali nel controllo delle rotte commerciali asiatiche: l’Impero portoghese e la Compagnia Olandese delle Indie Orientali. Entrambe le potenze europee, già ben radicate in Asia, rappresentavano ostacoli significativi all’espansione inglese, sia per la loro superiorità navale sia per le alleanze strategiche con le autorità locali.

I portoghesi, pionieri delle esplorazioni marittime verso l’Oriente, avevano stabilito una rete di avamposti commerciali lungo le coste africane e asiatiche sin dal XV secolo. Tuttavia, la loro egemonia cominciò a vacillare con l’arrivo degli inglesi. Un episodio emblematico fu la battaglia di Suvali nel 1612, dove una flotta inglese sconfisse le navi portoghesi al largo della costa di Surat. Questo scontro segnò l’inizio del declino del monopolio portoghese in India e l’ascesa della presenza inglese nella regione.

L’aggressività della Compagnia Olandese delle Indie Orientali

La Compagnia Olandese delle Indie Orientali, fondata nel 1602, si impose rapidamente come una delle principali potenze commerciali in Asia. Gli olandesi adottarono una politica espansionistica aggressiva, spesso ricorrendo alla forza militare per consolidare il loro controllo. Le tensioni tra inglesi e olandesi sfociarono in scontri diretti. Nel 1623, si verificò il massacro di Amboyna, dove dieci mercanti inglesi furono giustiziati dagli olandesi con l’accusa di cospirazione. Questo evento deteriorò gravemente le relazioni tra le due nazioni e spinse la Compagnia Inglese delle Indie Orientali a rivedere le proprie strategie, concentrandosi maggiormente sull’India continentale piuttosto che sulle isole delle spezie .

La necessità di proteggere i propri interessi commerciali portò la Compagnia Inglese delle Indie Orientali a militarizzare le sue operazioni e a costruire fortificazioni nei principali avamposti. Inoltre, la Compagnia iniziò a sviluppare una propria flotta navale, gettando le basi per quella che sarebbe diventata la Marina Mercantile Britannica.

Le prime Presidenze dell’impero britannico in India

La formazione delle tre Presidenze di Madras, Bombay e Calcutta segnò una tappa fondamentale nella trasformazione della Compagnia delle Indie Orientali da semplice impresa commerciale a potenza territoriale. Le Presidenze di Madras, Bombay e Calcutta furono tre grandi territori in cui fu suddiviso l’Impero britannico in India. Questi insediamenti, nati inizialmente come stazioni mercantili o fabbriche, divennero nel tempo centri amministrativi dotati di un proprio apparato burocratico, militare e giudiziario, e costituirono il nucleo dell’amministrazione britannica in India per oltre due secoli.

Madras: l’Inizio della presenza organizzata

Fondazione di Fort St. George a Madras
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Madras fu la prima delle tre Presidenze a essere stabilita. Nel 1639, Francis Day, un funzionario della Compagnia delle Indie Orientali, negoziò con il raja locale il diritto di stabilire un insediamento costiero su una striscia di terra lungo la costa di Coromandel. L’accordo fu formalizzato nel 1640 e portò alla fondazione di Fort St. George, che divenne rapidamente il fulcro della vita coloniale inglese nel sud dell’India.

La città si sviluppò secondo una netta distinzione spaziale e sociale. All’interno delle mura sorgeva la “Città Bianca”, abitata dagli europei e dotata di edifici pubblici, strade ordinate, una zecca, una biblioteca e una chiesa anglicana. Al di fuori, si estendeva la “Città Nera”, occupata dalla popolazione indigena e dal vivace bazar. Il governatore della Presidenza esercitava ampi poteri civili e militari, spesso con un’autorità tale da richiamare, in scala, quella di un viceré.

Bombay: da porto portoghese ad avamposto inglese

Bombay entrò in possesso della Compagnia delle Indie Orientali nel 1668, quando fu ceduta alla Corona inglese come parte della dote di Caterina di Braganza, principessa portoghese, in occasione del suo matrimonio con re Carlo II. Il re, a sua volta, la affittò alla Compagnia delle Indie Orientali per la simbolica somma di 10 sterline annue. Bombay divenne rapidamente un porto strategico per il controllo della costa occidentale.

Tuttavia, l’insediamento si rivelò arduo. Il clima malsano, le epidemie di colera e la carenza di strutture resero Bombay uno dei luoghi più inospitali per i coloni europei. L’amministrazione locale fu spesso inefficiente, con governatori deboli e malvisti, fino a gravi crisi come l’ammutinamento del 1683, quando i soldati esautorati presero il controllo dell’isola. Nonostante ciò, Bombay finì per diventare la sede principale della Compagnia delle Indie Orientali sulla costa del Malabar, e un importante centro navale.

Calcutta: la nascita del futuro centro imperiale

La terza Presidenza, e la più importante, fu quella di Calcutta. L’iniziativa della sua fondazione si deve a Job Charnock, un funzionario della Compagnia delle Indie Orientali dal passato controverso. Egli scelse nel 1690 un punto strategico lungo il fiume Hugli, nei pressi dei villaggi di Sutanuti, Gobindapur e Kalikata. Qui, su un terreno paludoso ma difendibile, sorse l’insediamento che sarebbe divenuto Calcutta.

Charnock ottenne alcune concessioni per il commercio e l’autogoverno locale, anche grazie alla debolezza temporanea dell’autorità imperiale nella regione. Calcutta si sviluppò inizialmente come semplice avamposto, ma la sua posizione sul delta del Gange, crocevia dei traffici fluviali e marittimi, la rese rapidamente una delle città più prospere del subcontinente. Nel 1699 fu elevata al rango di Presidenza, dotata di un proprio consiglio e governatore, e destinata a diventare, nel XVIII secolo, la capitale del dominio britannico in India.

Il significato delle Presidenze

tre Presidenze: Madras, Bombay e Calcutta
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Le tre Presidenze rappresentarono non solo centri economici, ma anche avamposti di cultura, potere e giurisdizione britannica. Le fabbriche si trasformarono in città-fortezza, dotate di corti di giustizia, scuole, zecche, e proprie milizie. In ciascuna, il governatore esercitava poteri quasi assoluti, spesso senza immediata supervisione da Londra, e le relazioni con le autorità locali oscillavano tra diplomazia e coercizione.

Nel corso del XVII secolo, la Compagnia delle Indie Orientali aveva dunque completato la prima fase del suo radicamento in India, passando da un semplice attore commerciale ad un potere territoriale con una struttura governativa embrionale. Madras, Bombay e Calcutta sarebbero rimaste pilastri dell’amministrazione britannica fino alla fine del Raj, e la base su cui si edificò un impero.

La fusione delle Compagnie e il consolidamento del potere

 fusione delle due Compagnie nel 1702
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Alla fine del XVII secolo, la Compagnia delle Indie Orientali si trovò a dover affrontare una nuova e pericolosa sfida non più proveniente dai rivali stranieri, ma dall’interno del proprio stesso regno. Nel 1694, in un clima politico dominato dal crescente potere del Parlamento e da un acceso dibattito sull’equità dei monopoli commerciali, fu approvata una risoluzione. Essa sanciva il diritto di ogni suddito inglese di commerciare liberamente nelle Indie Orientali. Ciò minava direttamente il monopolio che la Compagnia delle Indie Orientali deteneva sin dalla sua fondazione nel 1600. Ne derivò una crisi istituzionale e commerciale senza precedenti.

Nel 1698, questa tensione si concretizzò nella creazione di una nuova entità concorrente: la New East India Company. Tale compagnia fu favorita dal governo in cambio di un prestito di due milioni di sterline, una cifra colossale per l’epoca. Questa cifra sosteneva le finanze della monarchia dopo le guerre continentali condotte da Guglielmo III d’Orange. La nuova Compagnia ricevette quindi il sostegno politico e legale necessario per operare parallelamente a quella “vecchia”. Si creò una situazione di competizione interna che minacciava la stabilità degli interessi britannici in Asia.

Rivalità tra le Compagnie

Le due Compagnie, pur teoricamente rivali, furono costrette a cooperare sul campo, dove la presenza olandese e francese non lasciava spazio a lotte intestine. Tuttavia, le frizioni tra i due organismi si moltiplicarono, generando confusione amministrativa, sovrapposizione di autorità e conflitti d’interesse tra agenti locali. Questa rivalità si rifletteva anche nei commercianti inglesi in India, divisi tra due catene di comando, spesso in concorrenza tra loro. La doppia amministrazione appariva sempre più inefficace e dannosa per l’immagine e l’efficacia del commercio britannico in Oriente.

Alla fine prevalse il buon senso politico ed economico. Nel 1702, sotto il regno della regina Anna, le due compagnie furono costrette a fondersi in una nuova entità unificata, la Compagnia Unita delle Indie Orientali. Un atto del Parlamento ufficializzò la fusione. Esso incorporava i membri di entrambe le organizzazioni in una singola struttura e garantiva il mantenimento del monopolio commerciale in cambio di continui prestiti e contributi finanziari alla Corona. Il capitale fu consolidato e riorganizzato, la governance fu unificata sotto un unico consiglio direttivo a Londra. Le operazioni furono razionalizzate per massimizzare l’efficienza e il rendimento.

La Compagnia Unita delle Indie Orientali

Il periodo immediatamente successivo alla fusione registrò una fase di rafforzamento e consolidamento della presenza inglese in India. L’unificazione permise alla Compagnia di presentarsi come interlocutore unico e coerente nei rapporti con le autorità locali e con le altre potenze europee. L’amministrazione delle tre Presidenze (Madras, Bombay e Calcutta) fu centralizzata e resa più efficiente. L’espansione territoriale divenne più sistematica. L’acquisizione di fortificazioni, la costruzione di navi proprie e l’impiego di milizie regolari trasformarono la Compagnia in una potenza semi-statale.

Il successo della Compagnia derivò dlla sua crescente capacità di fungere da braccio secolare della Corona britannica in Asia. Essa combinava l’agilità dell’impresa privata con il prestigio e l’autorità del governo reale, una formula che si rivelò vincente. Le relazioni diplomatiche, le concessioni territoriali, l’imposizione di dazi e tributi, e perfino l’intervento militare, erano ora gestiti da un organismo commerciale dotato di una forza senza precedenti.

Espansione territoriale e il predominio nel Bengala

battaglia di Plassey
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La prima metà del XVIII secolo vide un crescente indebolimento dell’Impero Moghul, una volta onnipotente, ora frammentato da lotte interne, invasioni e spinte autonomiste dei governatorati locali. La nuova Compagnia delle Indie Orientali seppe approfittare di questo vuoto di potere, espandendo progressivamente la propria influenza non solo tramite trattative, ma anche per mezzo della forza militare.

Il momento cruciale arrivò nel 1757, con la battaglia di Plassey, in Bengala. L’esercito della Compagnia, guidato da Robert Clive, sconfisse le forze del nawab Siraj-ud-Daula, grazie anche alla corruzione e al tradimento di alcuni suoi generali. La Compagnia divenne di fatto sovrana del Bengala, una delle regioni più ricche dell’India, assumendone il controllo fiscale e militare. Nel 1765, l’Imperatore Moghul Shah Alam II concesse formalmente alla Compagnia il diwani del Bengala, Bihar e Orissa. Si trattava del diritto di riscuotere le tasse in cambio di una rendita annuale. La Compagnia diventò così ufficialmente amministratrice di un vasto territorio, pur mantenendo la finzione di agire in nome dell’autorità imperiale.

Da mercanti a governanti: amministrazione e riforme

Il dominio territoriale rese necessaria una riorganizzazione della Compagnia, che passò da una logica mercantile a una gestione statale vera e propria. Furono create strutture burocratiche, giudiziarie e fiscali. Tuttavia, questa amministrazione fu spesso inefficiente, segnata da corruzione e avidità. La famigerata carestia del Bengala del 1770, che causò la morte di circa 10 milioni di persone, fu aggravata da una tassazione eccessiva e dalla mancanza di interventi di soccorso.

Il malcontento crescente giunse fino a Londra, dove l’opinione pubblica e il Parlamento iniziarono a interrogarsi sul ruolo della Compagnia. Nel 1773, con il Regulating Act, il governo britannico intervenne direttamente per la prima volta negli affari della Compagnia delle Indie Orientali, nominando un Governatore Generale in India: Warren Hastings, con sede a Calcutta. Questo atto segnò l’inizio della sorveglianza statale sulle attività della Compagnia.

Il consolidamento militare e la sfida dei regni indiani

Nel corso del XVIII e inizio XIX secolo, la Compagnia dovette affrontare diverse potenze indiane ancora indipendenti, tra cui:

  • Il Regno di Mysore che oppose una strenua resistenza nelle quattro guerre anglo-mysore (1767–1799).
  • L’Impero Maratha che impegnò la Compagnia in tre conflitti (1775–1818), culminati con la sua sconfitta e l’assorbimento di ampi territori centrali.
  • L’Impero Sikh che fu definitivamente annientato dopo due guerre (1845–1849), portando alla conquista del Punjab.

Queste campagne ampliarono considerevolmente il territorio sotto il controllo della Compagnia delle Indie Orientali, che nel 1800 dominava ormai quasi tutta l’India centro-settentrionale, con una forza militare propria composta sia da soldati europei che da truppe indigene.

Crisi e fine del potere della Compagnia delle Indie Orientali

 Rivolta dei Sepoy
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Il dominio della Compagnia delle Indie Orientali raggiunse il suo apice nei primi decenni dell’Ottocento. Tuttavia, la crescente penetrazione culturale e religiosa occidentale, spesso percepita come offensiva dalle popolazioni locali, unita a tensioni economiche e militari, esplose nel 1857 nella Rivolta dei Sepoy, conosciuta anche come Prima Guerra d’Indipendenza Indiana. I Sepoy erano i soldati delle truppe indigene. La ribellione, violentissima, rivelò quanto fragile fosse il dominio della Compagnia delle Indie Orientali. Il governo britannico, scioccato dalla brutalità degli eventi e dalla debolezza amministrativa dimostrata, decise di intervenire definitivamente.

La fine della Compagnia

Con il Government of India Act del 1858, la Compagnia delle Indie Orientali fu sciolta. Tutti i suoi possedimenti, eserciti e strutture amministrative passarono sotto il diretto controllo della Corona. Nacque così il Raj britannico, l’amministrazione coloniale che avrebbe governato l’India fino al 1947.

Storia della Compagnia delle Indie Orientali immagini

Libri per approfondire

Anarchia. L’inarrestabile ascesa della Compagnia delle Indie Orientali

Mappa concettuale Compagnia delle Indie Orientali

Mappa concettuale Compagnia delle Indie Orientali
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