Il 12 ottobre 1951 la Camera dei deputati istituì la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla. Lo scopo era stabilire la quota di popolazione che necessitava di un intervento da parte dello Stato tramite sussidi. Parallelamente fu avviata anche un’indagine sulla disoccupazione in Italia.
Commissione parlamentare d’inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla
La proposta di istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta sulla miseria in Italia partì da un gruppo di deputati socialdemocratici e vi parteciparono 21 deputati di tutti i gruppi parlamentari. La commissione d’inchiesta sulla miseria in Italia si costituì ufficialmente il 4 giugno 1952 con l’elezione del Presidente, Ezio Vigorelli. L’inchiesta si chiuse nel giugno dell’anno successivo e i risultati furono pubblicati negli “Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla” in 14 volumi (1953-1954).
L’inchiesta sulla miseria in Italia fu promossa per tre fondamentali ragioni: accertare le condizioni di miseria diffusa in cui viveva gran parte della popolazione del Paese e ottenere una fotografia precisa ed esaustiva di questo drammatico fenomeno. Conoscere precisamente le spese dello Stato erogate sotto forma di sussidi assistenziali. Infine, mettere a punto una chiara e organica politica assistenziale per far fronte al fenomeno.
Il contesto storico
Nei primissimi anni Cinquanta, l’Italia stava ancora vivendo il dramma del Dopoguerra ed era ancora in una fase di ricostruzione. Le conseguenze devastanti della Seconda Guerra Mondiale si facevano ancora sentire. Alcuni settori della vita produttiva del Paese erano stati talmente segnati da non aver ancora ripreso un’efficienza completa. I contributi del Piano Marshall da parte degli Stati Uniti salvarono letteralmente gli italiani dalla fame, ma nel Paese esistevano ancora larghe fasce di popolazione che vivevano con il minimo vitale e, spesso, nemmeno quello.
Inoltre, permaneva un enorme divario tra il nord e il sud d’Italia. Mentre nella parte settentrionale del Paese l’industria registrò una crescita eccezionale, mettendo in moto quella “società dei consumi” che avviò il boom economico, al sud intere famiglie erano costrette a emigrare per la povertà diffusa e la mancanza di prospettive future. L’Italia proveniva da venti anni di regime fascista che aveva cancellato gli studi e le indagini sui problemi sociali d’Italia. L’inchiesta sulla miseria in Italia fu la prima a segnare una ripresa in tal senso.
Il lavoro della Commissione
La Commissione d’inchiesta sulla miseria in Italia articolò il proprio lavoro rilevando i dati statistico-economici sulla popolazione, studiando la legislazione vigente in materia assistenziale, studiando il funzionamento degli enti pubblici assistenziali. E poi ancora accertò l’ammontare delle spese assistenziali e come esse erano suddivise. Inoltre, la Commissione varò delle mini-inchieste parallele e più approfondite nelle zone più depresse d’Italia (Puglia, Lucania, Calabria, le Alpi, le montagne abruzzesi, la Sardegna e il delta del Po) e nelle tre grandi città di Roma, Milano e Napoli.
Il rilevamento dei dati statistico-economici sulla povertà in Italia fu condotto su un campione di popolazione, corrispondete a 58 mila famiglie. Le famiglie oggetto di studio furono indagate sotto diversi profili: consumi alimentari, spese per abbigliamento, tipologia di abitazione e grado di affollamento. Le indagini si concentrarono sui bilanci famigliari che comprendevano le spese quotidiane, la disponibilità finanziaria, la ripartizione delle spese e la composizione dei consumi alimentari.
I risultati sulla povertà in Italia
Dai dati possiamo vedere, ad esempio, che nei consumi alimentari il 7,5% delle famiglie registrava un consumo nullo, l’8,9% scarsissimo. I consumi alimentari riguardavano nello specifico carne, zucchero e vino. Per quanto riguarda l’abbigliamento, l’indice era dato dalle condizioni delle calzature possedute: il 5% delle famiglie in esame possedeva scarpe in condizioni miserrime e misere, il 4,3% in condizioni cattive, il 36,3% in condizioni mediocri. Veniamo alle abitazioni: il 3% della popolazione in esame viveva in alloggi inadeguati (cantine, soffitte, baracche e grotte), il 21% in abitazioni sovraffollate (4 persone per stanza).
Combinando i dati statistico-economici, risultò che il 12% delle famiglie viveva in condizioni di miseria, l’11,6% in condizioni disagiate. Circa ¼ della popolazione italiana viveva in uno stato di povertà. L’inchiesta sulla miseria in Italia mise in luce l’enorme divario tra il Nord e il Sud del Paese. Quasi la metà delle famiglie povere del campione viveva nel Sud d’Italia, con picchi massimi in Lucania (54%) e soprattutto in Calabria (63%).
L’organizzazione assistenziale in Italia
Sull’organizzazione assistenziale italiana, il giudizio della Commissione fu profondamente negativo. Il sistema era estremamente complesso, macchinoso e privo di coordinamento. Tali caratteristiche implicavano spese ingenti e dispersione dei fondi. Nella confusione dei ruoli, solo il 7,4% delle famiglie bisognose riceveva una qualche forma di assistenza. Ma non solo.
L’inchiesta sulla miseria in Italia mise in luce la notevole differenza del gettito delle spese assistenziali, che non erano distribuite in proporzione alla miseria ma in modo inversamente proporzionale alla gravità del fenomeno. Come si può leggere negli Atti: “l’assistenza è più viva ed efficiente lì dove gli assistiti sono meno numerosi e i loro bisogni relativamente meno profondi“. In parole povere, ricevevano più assistenza le famiglie meno povere del Nord rispetto alle famiglie più povere del Sud d’Italia. Alla luce di tutto ciò, la conclusione della Commissione fu una e lampante: “vi è un problema di assistenza, urgente, e una graduatoria territoriale di urgenza“.
La Basilicata
Tra le relazioni regionali condotte dai vari deputati della Commissione, la più completa ed esaustiva fu quelle per la Basilicata, redatta dall’onorevole Gaetano Ambrico. Nel testo si può leggere che nella provincia di Matera risultava estremamente difficile distinguere tra “miseria” e “povertà” perché la linea era quasi impercettibile. Infatti, su 182 mila abitanti, solo il 5-10% viveva in condizioni passabilmente agiate, mentre tutto il resto della popolazione viveva in una situazione di estremo disagio. Le cause di questa condizione erano molteplici e secolari: dall’economia chiusa alla terra arida, passando per l’incapacità degli uomini di cooperare tra loro.
Annessi e connessi della povertà
Una parte importante dell’inchiesta della miseria in Italia del 1952 si concentrò sugli elementi e fenomeni più significativi connessi alla povertà e le conseguenze patologiche della miseria: tubercolosi, mortalità, delinquenza minorile, prostituzione, mendicità. Analizziamone qualcuna.
Tubercolosi
La tubercolosi è una malattia considerata conseguenza di una insufficienza economica. Ad esempio per quanto concerne l’alimentazione. Un’alimentazione inadeguata può essere causa diretta di malattia e nella patologia dell’apparato respiratorio, la deficienza alimentare (soprattutto di vitamine) ha un’importanza diretta.
Inoltre, negli individui denutriti, le difese immunitarie sono compromesse, rendendoli più vulnerabili alla malattia. Gli studi comparativi da sempre evidenziano l’impressionante moltiplicarsi e aggravarsi della tubercolosi polmonare ed extra polmonare nei periodi di carestia, ad esempio durante le guerre.
Delinquenza minorile
Attraverso i risultati di un’indagine sui fenomeni di delinquenza minorile condotta nelle città di Roma, Palermo e Firenze sono emerse evidenze statistiche connesse a differenti fenomeni che determinerebbero l’incidenza di delinquenza minorile. Essi sono il tipo di abitazione, il suo affollamento, le caratteristiche del nucleo famigliare, le condizioni economiche della famiglia, l’occupazione del padre, la condotta morale della madre.
Si è accertato che il 67% dei minori delinquenti di Roma apparteneva a famiglie in cattive e pessime condizioni economiche. La percentuale saliva al 72,5% per Palermo. Nel campione di famiglie romane, il 29% dei padri risultava essere occupato come operaio qualificato, mentre a Firenze il 27% dei padri era disoccupato. Un’altra serie di rilevazioni ha portato a determinare che il 17% dei minori delinquenti di Roma, il 12% dei delinquenti minori a Palermo e il 26% a Firenze avevano una madre dalla condotta irregolare (pregiudicata, carcerata, prostituta, impegnata in relazioni extra coniugali). L’inchiesta giunse alla conclusione che l’ambiente di provenienza e soprattutto le particolari condizioni economiche disagiate (al di sotto del minimo vitale) sono causa diretta della condotta dei minori delinquenti.
Mortalità
La miseria costituisce un terreno propizio per la propagazione di malattie a causa di tutto l’insieme di fattori negativi che essa generalmente comporta, quali la sottoalimentazione, l’abitazione insalubre, la mancanza di igiene personale e di cure mediche. Lo stesso vale per le epidemie infantili, per cui per ogni bambino fra i 6 e i 10 anni che muore nella classe più agiata, ne muoiono 3 in quella più povera. Le disuguaglianze in questo caso erano impressionanti a causa del diffuso stato di povertà in Italia. Il maggiore tasso di mortalità infantile si verificava laddove erano prevalenti modeste e scarse condizioni economiche.
Mendicità
E’ interessante notare che in economia per mendicanti si intendeva “tutti coloro che vivono con proventi di minima entità con origine dalla beneficenza o da una attività lavorativa praticamente improduttiva”. Quindi, in Italia, i mendicanti non erano solo coloro che elemosinavano per le vie ma anche tutti coloro che sopravvivevano grazie all’assistenza.
Le conclusioni della Commissione d’inchiesta sulla miseria in Italia
La Commissione, al termine del suo lavoro, giunse a formulare alcune proposte di carattere generale per arginare il fenomeno della povertà in Italia.
- Predisporre un programma di sicurezza sociale tramite il coordinamento della legislazione e la riforma degli enti assistenziali.
- Redistribuire le spese assistenziali secondo il grado di depressione economica dei territori italiani.
- Iniziare un programma di costruzioni edilizie ultrapopolari.
- Intensificazione e sviluppo del programma di assistenza sanitaria.
- Tutela dei minori delle famiglie indigenti tramite appositi istituti.
- Colonie e case di riposo per anziani e disabili.
- Intensificazione e sviluppo della formazione professionale.
Quest’ultimo punto fu di particolare importanza. Considerato che nel Sud d’Italia, su 10 ragazzi in età di obbligo scolastico, solo 2 proseguivano gli studi oltre le scuole elementari, divenne indispensabile avviarli verso una formazione professionale, in grado di dar loro un mestiere per la vita.