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La storia del chinino, il farmaco che rese possibile l’imperialismo in Africa

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Il chinino è un alcaloide naturale noto per le sue proprietà antipiretiche, analgesiche e soprattutto antimalariche. È stato un componente chiave nel trattamento della malaria per molti anni e lo strumento che, indirettamente e silenziosamente, rese possibile l’avvento dell’Imperialismo in Africa. Ecco perché si parla di storia del chinino.

Il chinino è estratto dalla corteccia dell’albero di Cinchona, originario delle foreste andine dell’America del Sud. È noto per il suo gusto amaro e viene spesso utilizzato in piccole quantità come aromatizzante in bevande come l’acqua tonica e in alcuni prodotti farmaceutici. La kina-kina (corteccia delle cortecce) fu uno degli ultimi rimedi farmacologici a essere importati dal Nuovo Mondo in Europa.

La scoperta della kina-kina

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In un’epoca imprecisata, secondo la tradizione, un terremoto permise agli Indiani di Malacatos, paesino a nord dell’Ecuador, di scoprire che l’acqua di un lago, in cui erano caduti alcuni alberi, se bevuta, aveva il potere di far abbassare la febbre. I Peruviani custodirono gelosamente e a lungo il segreto dell’”albero della febbre”. Infatti, gli Spagnoli lo scoprirono solo un secolo dopo il loro arrivo tra gli Inca e cioè intorno al 1630.

La storia del chinino è strettamente legata a quella della malaria. Prima della scoperta del chinino, la malaria era una malattia fatale. La corteccia di Cinchona veniva utilizzata tradizionalmente dalle popolazioni indigene dell’America del Sud per trattare la febbre.

La polvere della contessa

Secondo un’altra leggenda, il medico Juan de Vega con questo rimedio curò dalla febbre malarica la contessa Francisca Hernandez de Ribera, moglie del viceré del Perù. Da allora questo prodotto terapeutico venne chiamato anche “la polvere della Contessa”.

La contessa, prima di partire per l’Europa nel 1639, consegnò la corteccia terapeutica ai Gesuiti di Lima. Questi, nonostante le proteste di molti medici, la diffusero in Europa, attraverso la figura del Cardinale Juan de Lugo del Collegio medico di Roma. Per questo la kina-kina fu a lungo chiamata anche la “polvere del Cardinale”. Altri nomi attribuiti erano “corteccia del gesuita” o “corteccia peruviana”, un rimedio che divenne rapidamente popolare in Europa come trattamento per la malaria. Ma non senza opposizioni e critiche.

Storia del chinino: la rovente disputa

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Alla metà del Seicento, infatti, circolava a Roma un foglietto intitolato “Modo di adoperare la Corteccia chiamata della Febbre”. Si trattava di una sorta di bugiardino ante-litteram, contenente tutte le informazioni e le istruzioni di somministrazione di questo miracoloso farmaco. Il chinino conobbe una rapida diffusione, scatenando una rovente disputa tra i medici, convinti e no, circa la sua reale efficacia.

Sugli scettici pesava l’antica teoria umorale, ancora in voga, secondo la quale lo stato febbrile era provocato dal disequilibrio degli umori nel corpo umano. Secondo tale teoria l’unico modo per debellarla consisteva nell’espulsione della materia in eccesso. Al contrario, la somministrazione della china non provocava questa “fuoriuscita” tramite sudorazione, vomito, diarrea.

Tra detrattori e medici entusiasti

Il nemico numero uno del chinino fu Jean Jacques Chifflet (1588-1660), medico del re di Spagna e del governatore dei Paesi Bassi. Chifflet pubblicò un volume nel quale sosteneva che la china era un veleno che necrotizzava le viscere e assorbiva l’umido radicale, provocando la morte per la mancata espulsione degli umori in eccesso.

Una figura centrale nella diatriba che si sviluppò attorno all’uso della china fu Sebastiano Bado che la utilizzò in modo abbondante negli ospedali di Genova, sua città natale. Bado difese strenuamente le proprietà positive del farmaco nella cura della febbre. Cercando di ampliarne la diffusione tra i colleghi, pubblicò due trattati, particolarmente importanti nella storia della medicina.

Le opere di Bado e la sua teoria

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La prima opera, “Cortex Peruviae redivivus profligator febrium”, del 1656, consisteva in una accesa difesa delle proprietà terapeutiche del chinino, riportando anche le testimonianze di personaggi illustri che erano stato stati da lui curati. La seconda, “Anastasis Corticis Peruviae, sive Chinae-Chinae defensio” del 1663, era formata da tre volumi in cui il medico riportò la casistica di 600 cartelle cliniche e le testimonianze di altri colleghi circa la loro utilizzazione del farmaco. Per Bado, le proprietà terapeutiche del chinino derivavano dalle sue qualità occulte, che traevano origine dalla mescolanza dei singoli elementi che la componevano.

Ma contrariamente alla medicina antica, secondo la quale l’efficacia di un farmaco dipendeva dal fatto di avere lo stesso temperamento della malattia, secondo il Bado anche un rimedio con il temperamento opposto alla malattia poteva portare alla guarigione, come l’antidoto che reagisce contro il veleno. Seguendo questo ragionamento, ad esempio, l’umore freddo della febbre quartana poteva essere curato con il caldo della corteccia della china.

L’apporto di Talbot nella storia del chinino

Un altro fervente sostenitore della china fu R.Talbot, medico personale del re d’Inghilterra, autore di un’opera del 1687 che ebbe largo successo e diffusione anche il Italia, intitolata “La kina-kina e le di lei stupende qualità“. Secondo Talbot, le proprietà curative della china per la febbre derivavano dai diversi sapori contenuti nella corteccia: freddo, caldo, secco, umido, amaro, piccante ecc. Ma per essere totalmente risolutiva della febbre, la china andava somministrata subito ai primi sintomi e poi con continuità durante tutta la malattia.

Tutti questi testi decretarono il successo del chinino come farmaco che iniziò a essere utilizzato anche per il trattamento di altre malattie. La sua richiesta crebbe in Europa al punto che la Spagna mise in piedi una vera e propria filiera per la raccolta e la commercializzazione della corteccia miracolosa.

Pierre Joseph Pelletier e Joseph Bienaimé Caventou

Però, fu solo nel 1820 che due chimici francesi, Pierre Joseph Pellettier e Joseph Bienaimè Caventou, furono in grado di isolare l’alcaloide della china, il chinino, la cui efficacia contro le febbri malariche era ormai di lampante evidenza. Isolando con successo il chinino dalla corteccia di Cinchona, fu possibile la produzione standardizzata di farmaci antimalarici. Questo ebbe un impatto significativo sulla salute pubblica, in particolare nelle regioni tropicali dove la malaria era endemica.

Perché il chinino rese possibile l’imperialismo in Africa

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Fu così che a partire dagli anni Quaranta di quel secolo, anche gli Europei presenti in Africa abbandonarono salassi e purganti a favore del chinino. Anzi, nel 1848 una circolare inviata da Londra a tutti i governatori britannici delle colonie africane raccomandava l’uso del chinino per tutti i residenti in Africa. Alla metà dell’Ottocento, la disponibilità del chinino iniziò a scarseggiare a causa della grande richiesta proveniente da tutto il mondo europeo e coloniale.

Si iniziò così a pensare di procurarsi piante di china e di farle crescere in luoghi posti sotto il dominio degli Europei, non solo per questioni sanitarie ma anche commerciali. Si mossero per primi gli Olandesi a Giava. Poi anche gli inglesi dal 1860 cercarono di far acclimatare le piante nei loro territori indiani, portando esemplari dalla Bolivia, Perù ed Ecuador. Questi esperimenti ebbero successo e nel giro di pochi anni la quantità di chinino a disposizione poté di nuovo soddisfare la domanda. Grazie all’impianto olandese a Giava, il continente africano non fu più considerato “la tomba dell’uomo bianco”, a causa delle moltissime morti per malaria.

Relazioni tra il chinino e l’Imperialismo

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Dunque, la connessione tra il chinino e l’imperialismo in Africa è un aspetto significativo della storia coloniale e della salute pubblica di quel periodo storico. Durante il periodo dell’imperialismo europeo in Africa (circa la fine del XIX secolo fino alla metà del XX secolo), il chinino svolse un ruolo cruciale. Infatti, consentì e facilitò l’espansione coloniale in regioni afflitte dalla malaria.

Chinino come strumento dell’Imperialismo

  • Protezione contro la malaria: il chinino rappresentava l’unico trattamento efficace contro la malaria, una malattia che rappresentava un ostacolo significativo per l’esplorazione e la colonizzazione europea in Africa. La disponibilità di chinino rese possibili viaggi e insediamenti più sicuri per i coloni europei in zone afflitte dalla malaria.
  • Controllo delle risorse: il monopolio europeo sulla produzione di chinino (abbiamo visto che la corteccia di Cinchona era originaria dell’America del Sud e le piantagioni erano controllate dai paesi colonialisti) significava che le potenze coloniali potevano esercitare un controllo notevole su chi aveva accesso al farmaco. Questo ampliò il loro potere e influenza in Africa.

Impatto sulla popolazione locale

  • Disparità di accesso: mentre i coloni europei avevano accesso al chinino, spesso non si poteva dire la stessa cosa per la popolazione locale che era più esposta e più vulnerabile alla malaria.
  • Impatto sociale ed economico: l’imperialismo, accompagnato dall’uso del chinino, ebbe un impatto profondo sul tessuto sociale, economico e politico delle società africane. La colonizzazione portò a cambiamenti forzati nelle strutture agricole, sociali e politiche.

La fine dell’era del chinino

Con l’avvento di farmaci antimalarici più efficaci e meno tossici nel corso del XX secolo, il ruolo del chinino nel trattamento della malaria è progressivamente diminuito. Tuttavia, la storia del chinino rimane un esempio lampante di come una scoperta medica possa avere implicazioni ben oltre il campo della salute, influenzando la geopolitica e la storia umana su scala globale.

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