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La società romano-barbarica: Longobardi, Bizantini e il Papato

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La società romano-barbarica, emersa dalla disgregazione dell’Impero Romano, fu un insieme complesso di culture e poteri distinti. In questo contesto, tre protagonisti principali giocarono un ruolo cruciale nella formazione dell’Europa medievale: i Longobardi, i Bizantini e il Papato. I Longobardi, un popolo germanico, si insediarono in Italia, stabilendo un regno che influenzò profondamente le strutture politiche e sociali della penisola. I Bizantini, eredi dell’Impero Romano d’Oriente, continuarono a esercitare una forte influenza culturale e religiosa nell’area mediterranea. Il Papato, con il suo crescente potere spirituale e temporale, divenne una forza centrale nella cristianità occidentale, diventando esso stesso entità politica. 

La società romano-barbarica

Dopo le grandi turbolenze che avevano visto migrazioni di popoli e scontri tra Germani e Romani, la società romano-barbarica dalla metà del VI secolo fino all’VIII secolo si caratterizzò per una maggiore stabilità. Le tribù germaniche, dopo aver fondato i loro regni, apparivano ora come popolazioni stabilmente insediate in determinati territori dove possedevano terre, bestiame e schiavi. Dopo essere state tribù mobili di guerrieri, divennero comunità di possessori di beni stabili. Nella società romano-barbarica, i contrasti tra le due parti si attenuarono a favore di un’uniformità sociale.

Al vertice della società romano-barbarica vi era l’aristocrazia formata da esponenti sia barbari sia romani. Gli antichi capi-guerrieri germanici formarono la classe dei grandi possessori di terre e uomini. Anche nell’aristocrazia militare confluirono esponenti di antiche famiglie senatorie con stili di vita ormai germanici.

Uomini liberi e aristocrazia

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Nella società romano-barbarica aumentò il divario tra il ceto dei nobili e la grande massa della popolazione. All’interno di quest’ultima, le differenze tesero ad attenuarsi, con un generico livellamento verso il basso. Entrò così il crisi la figura germanica dell’uomo libero in armi, a causa del suo nuovo ruolo di possessore-contadino, non più compatibile con le nuove forme che la guerra stava assumendo. La guerra, infatti, prevedeva ormai periodi di combattimento più lunghi e maggiori spese per le armi e l’equipaggiamento. Il mestiere del soldato divenne un’attività specializzata, propria del seguito armato del sovrano e dei nobili. L’esercito composto dal popolo non esisteva più perché l’uomo libero-soldato di un tempo si era trasformato in contadino-possessore stabile.

Al contrario, il ceto aristocratico ampliò le proprie funzioni militari e politiche. Dal punto di vista militare, l’aristocrazia raccoglieva e mobilitava gli uomini armati, mentre dal punto di vista politico mediava il rapporto tra re e sudditi. Erano sempre più numerosi i piccoli proprietari liberi e i soldati che si ponevano sotto la protezione dei potentes, accettandone la dipendenza economica, sociale e politica. L’autorità dei potenti aumentò proprio in virtù di queste “clientele armate” (trustis), simili a quelle possedute dal re. Inoltre, un altro fattore a favore dell’aristocrazia era il suo stretto rapporto con le istituzioni ecclesiastiche.

La monarchia

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La società romano-barbarica era basata sull’ordinamento monarchico. I poteri del re derivavano dal suo ruolo di capo militare che gli dava autorità su tutta la popolazione. Con il passare del tempo, tale autorità si era estesa a tutti gli abitanti di determinati territori, mentre i poteri del sovrano si andavano via via ampliando. Il re era eletto dal popolo, era tutore e amministratore della giustizia, era proprietario di tutto il territorio del regno che non aveva padrone. Il suo diritto di comando (il banno) si esercitava su tutti gli abitanti, i quali erano tutti sottoposti all’eribanno, cioè l’ingiunzione di presentarsi all’esercito.

Tuttavia, nella società romano-barbarica, a tutto ciò non corrispondeva un’effettiva forza della monarchia. Il sovrano poteva contare sulla riscossione di quei pochi tributi rimasti dall’antico sistema fiscale romano e dai proventi del fisco regio. Non esistevano funzionari pubblici e, sul territorio, solo i conti o gastaldi rappresentavano il re con compiti disparati e mal definiti.

I legami di fedeltà e le alleanze

Per tali motivi, il governo regio doveva fare affidamento su un ampio seguito di uomini fedeli e sui legami con altri centri di potere, in particolare con quelli dell’aristocrazia. Da qui, l’importanza centrale, nella società romano-barbarica, della familia e del palatium, intesi come parentela e seguito del re da un lato e della corte dall’altro. Oltre alla vasta parentela e alla servitù, risiedevano presso il sovrano giovani aristocratici che completavano a corte la loro formazione e larghi seguiti di amici e compagni, legati da vincoli di fedeltà particolarmente stretti. Il re utilizzava queste persone gravitanti nella sua orbita più stretta per svolgere incarichi lontano dalla corte e per governare le provincie a suo nome.

L’esercizio di tali compiti era, però, reso difficile da vari elementi propri della società romano-barbarica come la frammentazione del paese, le lunghe distanze, gli ostacoli naturali. Per supplire a ciò, il re si appoggiava su una vasta rete di alleanze, di parentele e clientele con le famiglie aristocratiche localmente potenti. Il re cercava di accaparrarsi la fedeltà di questi gruppi aristocratici, che tendevano a governare liberamente. Il re riservava loro incarichi a corte, nell’amministrazione periferica e prestigiose cariche nella Chiesa. La monarchia, quindi, si caratterizzava per un equilibrio precario tra autorità del sovrano e potere dell’aristocrazia.

I regni alto medievali

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La società romano-barbarica si caratterizzava per la presenza di regni che costituivano la geografia politica dell’Europa alto medievale.

Il regno franco in Gallia

Quello dei Franchi rappresentava il più forte dei regni romano barbarici. Dopo la morte del re Clodoveo nel 511, il regno fu diviso tra i tre figli che agirono di concerto nel promuoverne l’espansionismo a danno dei Burgundi e degli Alamanni. Tuttavia, all’interno di formarono compagini diverse: l’Austrasia a nord-est, più legata alle tradizioni germaniche; la Neustria, tra la Mosa e la Loira; la Borgogna. A parte vi era l’Aquitania, suddivisa tra i tre regni.

All’inizio del VII secolo, re Clotario II (613-629) riunificò i tre regni, concedendo tuttavia ampi privilegi all’aristocrazia militare e fondiaria e riconoscendo i governi autonomi di Austrasia, Neustria e Borgogna. Questi furono affidati ai maestri di palazzo che si occupavano della loro amministrazione. Una nuova spartizione avvenne dopo la morte del successore Dagoberto I (629-639) e iniziò a prevalere il gruppo parentale dei Pipinidi, maestri di palazzo dell’Austrasia. Pipino II di Herstal, nel 687, riuscì a concentrare nelle sue mani il governo di tutti e tre i regni.

Il regno visigoto e le isole britanniche

Nella penisola iberica, il regno dei Visigoti durò circa due secoli, respingendo i Franchi e i Bizantini e conquistando il regno dei Suebi. Nel 589, il re Recaredo si convertì dall’arianesimo al cattolicesimo per favorire i rapporti con le popolazioni locali. Da allora i vescovi, l’alta aristocrazia militare e il sovrano parteciparono ai concili che si svolgevano in varie città della Spagna e soprattutto nella capitale Toledo. La conversione accelerò il processo di fusione tra la componente germanica e romana, ma il regno rimase debole a causa di conflitti interni, fino alla conquista musulmana avvenuta nel VIII secolo.

Le isole britanniche subirono una forte spinta all’evangelizzazione. Già all’inizio del V secolo fu avviata la cristianizzazione dell’Irlanda a opera di San Patrizio. I monaci irlandesi poi passarono a evangelizzare l’Inghilterra e la Scozia nel secolo successivo. L’organizzazione politica dei diversi regni dell’Inghilterra vedeva intorno al re una forte aristocrazia militare e i freemen, i guerrieri liberi. Dopo la dominazione degli Angli, i Sassoni dei regni meridionali presero la supremazia. Tra essi, il regno del Wessex, con a capo re Egberto, estese la sua autorità su tutta l’Inghilterra.

I Longobardi

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Nella primavera del 569 i Longobardi invasero l’Italia settentrionale. Essi mossero dai loro più recenti stanziamenti nella Pannonia e nel Norico, dove avevano avuto contatti sia con i Romani sia con i Bizantini. Professavano la religione ariana e conservavano antiche tradizioni. I Longobardi penetrarono attraverso il Friuli, guidati dal re Alboino. Senza incontrare resistenza, dilagarono rapidamente nella pianura padana: Milano cadde nel 569, Pavia nel 572. Attraverso l’Appennino, si diressero verso l’Italia meridionale.

La conquista, tuttavia, avvenne a macchia di leopardo, determinata dalla decisioni autonome di gruppi di guerrieri che, sotto la guida dei duces, si mossero in direzioni diverse, senza un piano preciso. Ad esempio le fasce costiere, meglio difese dai Bizantini, rimasero escluse, così come Ravenna, gran parte delle Marche, dell’Umbria, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna. E l’intera Liguria. I Longobardi si stanziarono nella pianura padana, in Toscana, intorno a Spoleto e Benevento.

La dominazione longobarda

L’Italia fu così divisa tra due dominazioni assai differenti, determinando in particolare una netta frattura tra Italia meridionale e il resto della penisola. La conquista longobarda presentò notevoli elementi di novità rispetto al passato. A differenza delle altre invasioni, l’occupazione fu distruttiva. Scomparve totalmente l’antica aristocrazia latina.

Le loro terre, come quelle dei proprietari minori e della Chiesa, furono confiscate e attribuite ai conquistatori e ai loro eserciti. I soldati si trasformarono in proprietari fondiari, pur mantenendo il servizio d’armi, da cui le popolazioni locali furono escluse. I latini furono ridotti nella condizione di coloni.

Il re e i duchi

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I Longobardi si distribuirono sul territorio in gruppi formati da guerrieri legati da vincoli di parentela, costituendo fare (villaggi), che rispondeva all’autorità dei capi guerrieri che risiedevano in luoghi fortificati. In questa fase di stanziamento, l’autorità del re si indebolì gravemente. Le fare si orientarono verso forme di autogoverno, rette dai loro duchi. Ad esempio, il re Alboino fu assassinato dopo pochi anni dall’arrivo in Italia tramite una congiura ordita dalla moglie Rosmunda (572). Due anni dopo, toccò la stessa sorte al successore Clefi. Dopo di lui, nessun re fu nominato per una decina d’anni.

Questo stato di cose, però, comportava alti rischi per i pericoli esterni. Nel 584 si procedette così a eleggere un nuovo sovrano, Autari, figlio di Clefi, che fu autore di una restaurazione dell’autorità regia. Questa impresa fu proseguita dal successore Agilulfo (590-616), che ne sposò la vedova Teodolinda. Per aumentare i proventi della corona, i duchi donarono al re metà delle loro terre, che furono organizzate in complessi affidati al ceto dei funzionari, i gastaldi, dotati di vari compiti.

Rotari e il suo regno

Rotari fu re dei Longobardi dal 636 al 652 e nel 643 emanò l’editto che porta il suo nome e con cui mise per iscritto, in lingua latina, le norme orali che fino ad allora avevano regolato la vita del regno. L’editto di Rotari comprendeva anche una solenne affermazione dell’autorità e delle prerogative del re. Ad esempio, stabiliva che i duchi erano soggetti ai gastaldi, in quanto rappresentanti del sovrano.

Il progetto di dar vita a una forte monarchia, tuttavia, non ebbe successo all’interno di una società romano-barbarica così composita. I grandi ducati di Spoleto e Benevento rimasero semi-indipendenti, svolgendo di fatto una politica autonoma. Anche in Toscana e nella pianura padana, il potere monarchico faceva fatica a prevalere.

I rapporti con gli italici e la Chiesa

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Passata la violenta fase di conquista e di occupazione dei territori da parte dei Longobardi, i rapporti con gli italici migliorarono, pur restando essi subordinati e marginali. I Longobardi non furono insensibili alle influenze della cultura latina. Più significativi furono i rapporti intrapresi con la Chiesa che ebbe grande influenza sui Longobardi, soprattutto sotto papa Gregorio Magno, che intraprese una decisa opera di evangelizzazione nei loro confronti e di conciliazione tra le due componenti della società romano-barbarica.

Interlocutrice principale con il papa fu Teodolinda, regina longobarda di religione cattolica. Già a partire da Agilulfo il cattolicesimo fu tollerato e i beni confiscati alla Chiesa furono restituiti. Più lento il processo di conversione vera e propria, ostacolato dal forte orientamento ariano che costituiva uno degli elementi dell’unità longobarda. Solo alla metà del VII secolo, i Longobardi elessero un sovrano cattolico, Ariperto (653-661). Tuttavia, molti duchi continuarono nell’antica religione.

I Bizantini nella penisola

Bizantini nella penisola
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I territori posti sotto il controllo dei Bizantini si erano via via ridotti per l’affermazione dello Stato della Chiesa e del regno longobardo. Alla metà del VII secolo, i Longobardi avevano occupato il Veneto, la Toscana, la Liguria e anche nelle zone dell’esarcato, i Bizantini avevano perduto varie zone di influenza. A sud, il ducato longobardo di Benevento si era esteso alla Puglia, Calabria settentrionale, coste della Campania.

Inoltre, l’impero di Bisanzio non era stato in grado di sostenere militarmente l’esarca, il rappresentante diretto dell’impero con sede a Ravenna. L’esarcato non riuscì a far fronte all’avanzata longobarda. La difesa fu affidata alle popolazioni locali sotto la guida dei più eminenti aristocratici. Ma questi ultimi, di fatto, esercitarono, forme di autogoverno. Le aristocrazie si presentavano ormai con un orientamento fortemente provinciale, una costante nella società romano-barbarica. Ciò causò un progressivo sgretolamento dell’unità amministrativa e militare del potere bizantino. I diversi territori erano largamente autonomi.

L’Italia meridionale, Ravenna, Venezia

La Sicilia mantenne stretti rapporti con Bisanzio a causa della crescente minaccia araba. Tra il VII e l’VIII secolo si formò il tema di Sicilia, una circoscrizione militare con a capo uno “stratego” con sede a Siracusa. A tale tema furono uniti il ducato di Calabria e il ducato di Napoli. Più autonome risultavano Ravenna e l’esarcato. La Chiesa ravennate aveva una particolare autorità che fu legittimata nel 666, quando l’imperatore ne riconobbe l’indipendenza disciplinare da Roma.

La laguna veneta rappresentò l’unico territorio escluso dalla dominazione longobarda in Veneto. Sulle isole e nel litorale, difese dalla flotta bizantina, si rifugiarono gli abitanti dell’entroterra, dando origine a nuovi insediamenti. Essi si sostenevano tramite la pesca e l’attività mercantile. A capo del complesso lagunare, l’esarca nominò un duca, detto poi doge, che ottenne ampia autonomia. Era nata Venezia.

Il Papato

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Nella società romano-barbarica, la progressiva debolezza dell’impero bizantino fu accompagnata dalla crescita di potere del Papato. La Chiesa di Roma accrebbe i suoi patrimoni e accentuò il suo dominio territoriale. Il tutto in accordo con l’aristocrazia locale, i cuoi membri rivestivano importanti cariche nella gerarchia ecclesiastica o nella gestione dei beni della Chiesa. Inoltre, la Chiesa, in virtù della lontananza da Costantinopoli, iniziò ad assumere maggiore autonomia dal punto di vista religioso. Un ruolo di primo piano in ciò ebbe papa Gregorio Magno (590-604). Colto e appartenente a una potente famiglia, il suo ruolo di rappresentante del papa a Costantinopoli gli permise di rendersi conto dell’enorme divario ormai esistente tra l’occidente germanico e l’impero.

Dopo dopo il suo ritorno, fu nominato vescovo di Roma. Durante tale carica lavorò con zelo per l’affermazione e il consolidamento del Papato quale guida della Chiesa universale e di evangelizzazione dell’occidente. Diresse le diverse chiese in un’unica direzione e pose particolare cura nell’amministrazione dell’immenso patrimonio della Chiesa di Roma. I rapporti tra Roma e Bisanzio furono spesso difficili poiché il Papato cercava costantemente di affermarsi autonomamente sulle questioni dottrinarie e religiose.

Il Papato nell’Italia centrale

Di fronte allo sgretolarsi del potere bizantino, il Papato assunse sempre maggiori compiti di difesa di Roma e dell’Italia centrale. Iniziò a esercitare funzioni di governo nell’Urbe e sul ducato romano, un territorio che corrispondeva all’attuale Lazio. Assieme, si costituì un’amministrazione pontificia che progressivamente sostituì quella del governo bizantino.

Tutto ciò fu possibile grazie alla forte base economica e fondiaria della Chiesa di Roma: il Papato disponeva di ricchezze consistenti e in continuo aumento nelle regioni soggette a Bisanzio e, in particolare, nei dintorni di Roma. Furono queste le basi della sua vasta influenza sociale e politica.

I Longobardi, la Chiesa di Roma e la conquista dei Franchi

I Longobardi, la Chiesa di Roma e la conquista dei Franchi
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Alla morte di Rotari, nel 652, si aprì una lunga crisi politica dovuta alla crescente resistenza dei duchi nell’accettare l’autorità regia. Tuttavia, l’elezione di Liutprando (712-744) segnò un rinnovamento nell’affermazione del regno longobardo. La monarchia aveva cercato di consolidarsi sviluppando clientele di fedeli legati al re, i cosiddetti gasindi che, in cambio, ricevevano ricompense e protezione. Liutprando, come re cristiano e cattolico, tentò di estendere la sua influenza sulle istituzioni ecclesiastiche per trasformarle in un elemento a supporto alla monarchia. Ma i rapporti tra la monarchia longobarda e il papato portarono presto a uno scontro, che avvenne nell’ambito di un momento di grave debolezza del dominio bizantino in Italia.

Nel 727 si verificò una vasta sollevazione antibizantina che fu testimone della forza dei diversi regionalismi che si erano sviluppati in seno alla società romano-barbarica. Liutprando mosse l’esercito contro l’esarcato e il ducato romano, arrivando fino a Sutri (Viterbo). Il papa Gregorio II (715-731), timoroso del rafforzamento longobardo, con l’appoggio dei duchi di Spoleto e Benevento, costrinse Liutprando a ritirarsi. Liutprando in quell’occasione donò il borgo di Sutri (728). Questo atto fu a lungo considerato la fondazione dello Stato della Chiesa.

La situazione precipita

Papato e Franchi
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Ma la pressione esercitata dai Longobardi verso il ducato romano continuò. Nel 742 Liutprando e il nuovo papa Zaccaria (741-752) stipularono una pace ventennale che comportava la restituzione al Papato dei territori bizantini che sarebbero stati via via riconquistati dai Longobardi. Tuttavia, questi patti erano precari poiché, da un lato, il Papato temeva l’influenza longobarda, dall’altro i Longobardi erano diffidenti verso il potere pontificio.

La situazione precipitò con l’elezione di re Astolfo (749-756) che fu autore di un’energica politica espansionistica che si poneva come obiettivo la conquista di tutta l’Italia. Nel 751 i Longobardi invasero nuovamente l’esarcato, conquistarono Ravenna, poi il ducato di Spoleto arrivando a minacciare la stessa Roma.

I Franchi e la fine del regno longobardo

Il nuovo papa Stefano II (752-757) chiese allora un intervento diretto dei Franchi, rappresentati dalla nuova dinastia regnante dei Pipini, che erano stati sostenuti nella loro corsa al potere dalla stessa chiesa.

Stefano si recò in Francia e nella cattedrale di St. Denis rinnovò la sacra unzione di Pipino il Breve e dei suoi figli, nominandoli protettori della Chiesa. In cambio, Pipino intervenne in Italia contro Astolfo (754), impegnandosi a restituite alla Chiesa tutti i territori occupati a sud della linea Luni-Monselice, Spoleto e Benevento compresi.

La nascita dello Stato Pontificio

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Probabilmente fu in questo periodo che venne redatta la “donazione di Costantino“, un documento falso che giustificava precedenti diritti della Chiesa di Roma su territori, in realtà, mai posseduti. Pipino arrivò in Italia nel 755 e subito l’inferiorità dell’esercito longobardo fu lampante, così come la poca solidità del regno. Il regno longobardo era com’era della fedeltà delle clientele attorno al re e dell’appoggio dei vescovi, elementi che invece caratterizzavano i Franchi. Pipino sconfisse i Longobardi alla Chiusa di San Michele, mise sotto assedio Pavia, obbligando Astolfo a promettere di restituire i territori occupati.

Ma Astolfo, non solo non rispettò la promessa, ma riprese gli attacchi contro Roma. Pipino scese nuovamente in Italia nel 756 e lo sconfisse definitivamente. Nello stesso ann, Pipino il Breve donò solennemente numerosi territori alla Chiesa di Roma, tolti in parte ai Longobardi e in parte ai Bizantini. Con il nuovo re longobardo Desiderio (756-774) si delineò il pericolo di un’alleanza con i Franchi. Infatti, i due figli di Pipino, Carlo e Carlomanno, sposarono due principesse longobarde, Ermengarda e Gerberga, secondo alcuni figlie dello stesso Desiderio.

Un nuovo dominio territoriale

Tuttavia, l’intesa fu di breve durata. Carlo, dopo essere rimasto unico sovrano a causa della morte del fratello, ripudiò la moglie. Desiderio occupò l’esarcato, dirigendosi poi nuovamente verso Roma. Ancora, papa Adriano I (772-795) invocò l’aiuto di Carlo. I Franchi arrivarono in Italia nel 773, vinsero i Longobardi, assediarono Pavia dove si trovava Desiderio. Dopo un assedio di 10 mesi, Desiderio fu catturato e portato in Francia. Suo figlio Adelchi cercò di resistere ma fu sconfitto a Verona e costretto a fuggire in Oriente. Carlo assunse il titolo di re dei Longobardi e portò nella penisola conti e famiglie franche che andarono in parte a sostituire i duchi. L’Italia era sotto il dominio dei Franchi.

Nel 774 Carlo riconobbe la nascita del novello Stato pontificio che si era creato nell’Italia centrale con la progressiva ritirata dei Bizantini e poi dei Longobardi. Si trattò comunque di un riconoscimento formale, dal momento che il papato da tempo esercitava una prominente influenza sul ducato romano. Questo inglobò le nuove terre di provenienza bizantina e longobarda, andando a costituire un ampio dominio territoriale.

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