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La ferrovia Thailandia-Myanmar: inferno della Seconda Guerra Mondiale

ferrovia Thailandia-Myanmar
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Il 17 ottobre 1943, nelle profondità della campagna tailandese, due gruppi di lavoratori ridotti allo stremo si incontrarono a Konkoita. Trascinando con fatica le ultime traversine, conclusero un’impresa ingegneristica straordinaria: la costruzione della ferrovia Thailandia-Myanmar. In soli sedici mesi, una linea ferroviaria lunga 415 chilometri venne realizzata tra Non Pladuk, poco a ovest di Bangkok, e Thanbyuzayat, nella Birmania allora occupata dai giapponesi. Tuttavia, il prezzo umano fu terrificante.

La ferrovia Thailandia-Myanmar: inferno su binari

La ferrovia Thailandia-Myanmar (Birmania) è uno dei simboli più inquietanti dell’oppressione umana durante la Seconda Guerra Mondiale. Essa è tristemente chiamata anche “Ferrovia della morte”. Costruita tra il 1942 e il 1943, questa linea ferroviaria fu il frutto della brutalità dell’Impero giapponese e della sofferenza di migliaia di prigionieri di guerra e lavoratori civili asiatici.

Per completare 415 chilometri di binari che collegavano Non Pladuk (Thailandia) a Thanbyuzayat (Birmania, oggi Myanmar), il sacrificio umano fu immenso: si stima che circa 100.000 persone persero la vita, lavorando in condizioni disumane, sotto un sole implacabile, tra malattie, fame e abusi.

La storia della costruzione della ferrovia Thailandia-Myanmar

storia della costruzione della ferrovia Thailandia-Myanmar
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La possibilità di costruire una ferrovia in quella regione fu esaminata per la prima volta nel 1885 dagli inglesi, allora governanti coloniali della Birmania-Myanmar. Ritennero il progetto impraticabile, scoraggiati dalle difficoltà del terreno montagnoso, dalla giungla impenetrabile, dalle malattie e dall’assenza di strade adeguate. Fu il Giappone, nel 1942, a decidere di procedere, spinto dalla necessità di una rotta terrestre per il trasporto di truppe e rifornimenti verso la Birmania e l’India.

Il progetto della ferrovia

L’idea della ferrovia Thailandia-Myanmar nacque così da esigenze logistiche dell’esercito giapponese, desideroso di stabilire una rotta sicura per il trasporto di rifornimenti e truppe tra Bangkok e Rangoon. Dopo l’invasione vittoriosa della Malesia britannica e la clamorosa caduta di Singapore nel 1942, il Giappone aveva il controllo della regione, ma necessitava di una via di comunicazione terrestre alternativa alle pericolose rotte marittime soggette agli attacchi alleati.

Il terreno impervio, la giungla fitta e la completa assenza di infrastrutture non scoraggiarono i giapponesi. Il progetto, considerato dai britannici impraticabile sin dal XIX secolo, fu riattivato dal comando militare nipponico con un solo obiettivo: realizzare in tempi rapidissimi una ferrovia adatta a sostenere le campagne contro l’India britannica.

La manodopera forzata e la schiavitù

Il motore della ferrovia Thailandia-Myanmar fu costituito da una massa di schiavi. Oltre 60.000 prigionieri di guerra alleati, principalmente britannici, australiani e olandesi, e circa 200.000 lavoratori civili asiatici furono costretti a prendere parte alla costruzione. I prigionieri provenivano in gran parte dalla disfatta di Singapore, mentre gli asiatici furono reclutati con l’inganno o tramite pressioni brutali nei territori occupati del Sud-est asiatico.

Queste persone vennero spinte al limite delle loro forze fisiche, costrette a lavorare fino a sedici ore al giorno, senza strumenti adeguati, con scarsi o nulli rifornimenti di cibo, acqua e cure mediche. Le punizioni corporali erano all’ordine del giorno, così come le esecuzioni sommarie per insubordinazione o semplice esaurimento. Più di un prigioniero su cinque non sopravvisse. Tra i lavoratori asiatici, si stima che almeno la metà perse la vita. Le loro sofferenze costituiscono uno degli episodi più atroci della Seconda Guerra Mondiale.

Malattie, fame e morte

ferrovia Thailandia-Myanmar storia
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La costruzione della ferrovia Thailandia-Myanmar avvenne in ambienti estremamente ostili: il caldo tropicale, le piogge monsoniche, la giungla infestata da insetti e serpenti, la mancanza di igiene, fecero proliferare malattie come malaria, dissenteria, beriberi, colera e tifo. I prigionieri, già indeboliti, non avevano accesso a medicinali e spesso nemmeno ad acqua potabile.

Le razioni alimentari si riducevano a una scodella di riso e a una zuppa acquosa. Il beriberi, malattia causata dalla mancanza di vitamina B1, e la disidratazione causavano dolori atroci e la morte avveniva in solitudine, tra spasmi e febbri altissime. In molti casi, i cadaveri venivano lasciati esposti o sepolti frettolosamente lungo la linea ferroviaria. Tuttavia, dove possibile, i prigionieri stessi organizzavano rudimentali cerimonie funebri, segno di una dignità che sopravviveva alla barbarie.

Hellfire Pass: il simbolo dell’orrore

Hellfire Pass
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Uno dei tratti più famigerati della ferrovia Thailandia-Myanmar fu il cosiddetto Hellfire Pass, il “Passo del Fuoco Infernale”. Si trattava di una sezione in cui i prigionieri dovevano scavare a mano, con martelli e scalpelli, nella roccia dura della montagna. Il lavoro avveniva spesso di notte, illuminato da torce e fuochi, conferendo al luogo un aspetto infernale, accentuato dalle urla dei feriti e dai colpi continui contro la pietra.

Secondo molte testimonianze, l’Hellfire Pass rappresentava l’essenza stessa dell’orrore: corpi scheletrici, uomini ridotti a ombre, privati di identità e dignità, intenti a scavare la propria fossa, inconsapevolmente. La mortalità in questa zona fu tra le più alte dell’intera tratta. Infatti, 69 prigionieri persero la vita sotto i colpi delle guardie giapponesi durante le dodici settimane necessarie per completare quel tratto di scavo. Molti altri morirono non per la violenza diretta, ma a causa delle epidemie di colera e dissenteria, della denutrizione cronica e per lo sfinimento fisico.

I Cimiteri della Memoria

Cimiteri della Memoria
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Oggi, tre cimiteri di guerra raccontano la storia di questa immane tragedia. Sono luoghi curati, ordinati, con prati verdi, arbusti in fiore e file di lapidi militari. In essi riposano 6.609 militari britannici, ciascuno commemorato con un’epigrafe che ne umanizza la memoria. Questi “campi stranieri” rappresentano una forma di consolazione e di rispetto che fu negata in vita a molti di questi uomini. Infatti, durante la costruzione della ferrovia Thailandia-Myanmar, i cadaveri venivano seppelliti direttamente nel luogo in trovavano la morte. I giapponesi, pur indifferenti alle sofferenze dei prigionieri, mostravano un inaspettato rispetto per i defunti.

Al termine del conflitto, vennero riesumati 10.000 corpi da 144 cimiteri lungo la ferrovia. Le salme furono poi trasferite in tre cimiteri centralizzati: Kanchanaburi, il più grande, nei pressi di Bangkok; Chungkai, riservato principalmente a chi morì in ospedale; e Thanbyuzayat, in Myanmar. Questi luoghi sono oggi mantenuti dalla Commonwealth War Graves Commission. Le epigrafi delle tombe sottolineano spesso la giovane età dei defunti. Tre prigionieri su cinque avevano tra i 20 e i 29 anni.

Il paradosso della pietà giapponese

Un aspetto paradossale dell’intera vicenda fu il rispetto postumo che i giapponesi riservavano ai prigionieri morti. Pur trattando i vivi con estrema crudeltà, i caduti venivano spesso sepolti con un certo rispetto. Le ragioni erano culturali e spirituali: nella visione nipponica, anche il prigioniero morto aveva servito, suo malgrado, l’Imperatore, e doveva dunque essere onorato. Inoltre, la credenza nei fantasmi e il timore delle malattie contribuivano a incentivare la sepoltura ordinata dei corpi.

Storie di dolori famigliari

Tra le migliaia di lapidi presenti lungo la ferrovia Thailandia-Myanmar, alcune raccontano vere e proprie tragedie familiari. Come quelle dei sei gruppi di fratelli che morirono sulla linea: i fratelli Basnett, Pugh, Driver, Duke, Gosling, Heal e Herwin. In alcuni casi, tre fratelli della stessa famiglia persero la vita in diversi luoghi di prigionia.

La Mergui Road: il capitolo finale

Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, il comando giapponese ordinò la frettolosa costruzione di un’ulteriore via di fuga: la Mergui Road. Si trattava di un sentiero attraverso la giungla tra la Thailandia e la costa birmana. Circa 1.000 prigionieri, già debilitati da tre anni di prigionia, furono costretti a quest’ultima prova e a lavorare in condizioni disumane. Con l’arrivo delle piogge, malattie e decessi si moltiplicarono. Altri 240 uomini persero la vita in condizioni analoghe a quelle della ferrovia Thailandia-Myanmar. Tra loro, anche Thomas Heigh, il cui epitaffio parla di “un’esistenza ultraterrena di tormento e fame”.

L’inferno dello “Speedo”

La fase più cruenta della costruzione della ferrovia fu il periodo noto come “Speedo”, tra la metà della primavera e la metà dell’autunno del 1943. Durante questi mesi, i prigionieri furono sottoposti a un’intensificazione forzata dei lavori, in condizioni ormai estreme, per accelerare il completamento della linea. Fu allora che si verificarono i tassi di mortalità più elevati, con centinaia di uomini che morivano ogni giorno a causa di sfinimento, colera, dissenteria, malaria e malnutrizione.

Dopo la conclusione dei lavori, i prigionieri non vennero liberati. Passarono altri due anni in campi di prigionia, spesso nei pressi di città, dove venivano impiegati per la manutenzione della linea o trasferiti in Giappone per colmare la mancanza di manodopera. La costruzione della ferrovia Thailandia-Myanmar è oggi riconosciuta come un crimine di guerra. Il tenente generale giapponese Hiroshi Abe, che supervisionò la sezione di Sonkrai,dove, in soli tre mesi, morirono 1.400 prigionieri britannici su 1.600, fu processato e condannato a morte. La sentenza fu successivamente commutata in 15 anni di reclusione, di cui ne scontò solo dieci.

Memorie dalla Ferrovia della Morte

Death Railway
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La Ferrovia della Morte è oggi un luogo della memoria raccontato attraverso le voci di chi l’ha vissuta. Tra i primi a dare forma scritta a questa esperienza fu John Coast, ex prigioniero di guerra britannico, nel suo libro Railroad of Death, pubblicato nel 1946 e riproposto nel 2014. L’opera, considerata una delle più autorevoli testimonianze sull’argomento, offre un resoconto vivido e diretto della brutale realtà affrontata dai prigionieri, ma anche dei rari momenti di umanità emersi in mezzo alla crudeltà.

Nel suo libro, Coast si sofferma in particolare sulle condizioni di vita e di lavoro imposte ai prigionieri di guerra lungo la ferrovia, che vissero in un clima di terrore, fame, malattia e privazione, ma riuscirono anche a conservare frammenti della loro identità culturale e della loro dignità personale.

Henri Hekking: il medico della giungla

Un’altra figura luminosa in questa storia di oscurità fu il dottor Henri Hekking, medico olandese internato con i prigionieri di guerra, la cui straordinaria abilità medica e umana è narrata nel libro Last Man Out del marine statunitense H. Robert Charles. Nella prefazione, lo scrittore James D. Hornfischer descrive Hekking come una “torre di forza psicologica ed emotiva”, paragonandolo a uno sciamano per la sua capacità di curare con ciò che offriva la giungla. La sua improvvisazione farmacologica salvò molte vite, rendendolo una figura quasi mitica all’interno dei campi.

Storia della ferrovia Thailandia-Myanmar immagini

Libri per approfondire

Building the Death Railway: The Ordeal of American Pows in Burma, 1942-1945