A Vienna la Francia sconfitta fu ridotta ai confini del 1791, tranne la Savoia e le colonie. La Prussia ebbe una parte della Sassonia e la Renania, mentre l’Austria ottenne la piena egemonia sulla penisola italiana. La Russia si espanse in Finlandia e Polonia. L’Inghilterra consolidò il proprio dominio sui mari. Il sistema degli stati successivo all’età napoleonica fu definito nel corso di un’estenuante serie di incontri e trattative. Vi parteciparono i quattro rappresentanti delle grandi potenze: il lord inglese Castlereagh, il conte russo Nesselrode, il principe prussiano von Hardenberg e il principe austriaco von Metternich-Winneburg. A essi va aggiunto Talleyrand, rappresentante della Francia sconfitta. Il primo trattato di Parigi del 30 maggio 1814, l’atto finale del Congresso di Vienna (9 giugno 1815) e il secondo trattato di Parigi del 20 novembre 1815 rappresentano le tappe di questa risistemazione politica e territoriale dell’Europa.
Il Congresso di Vienna: obiettivi di Inghilterra, Russia, Prussia e Austria
Le quattro potenze che si incontrarono al tavolo del Congresso di Vienna avevano strategie e scopi profondamente differenti. Esse si erano unite solo per l’esistenza di un nemico comune da combattere, la Francia. Tuttavia, anche i motivi che le avevano spinto a entrare in guerra contro Napoleone erano di diversa natura. L’Inghilterra, già da tempo avviata sulla strada della monarchia costituzionale e dotata di un’economia in sviluppo, aveva badato a contrastare l’emergente egemonia della Francia napoleonica e a combattere per il predominio coloniale. L’Austria, la Prussia e la Russia combatterono contro un regime colpevole di aver rovesciato la monarchia assoluta di Luigi XVI con l’intento di ripristinare l’ordine tradizionale. Una volta caduto Napoleone, queste differenze emersero con maggiore evidenza.
Inghilterra e Russia, che più avevano contribuito alla vittoria, si collocavano su poli opposti. L’Inghilterra era la patria di un liberalismo moderato, innovativo e dinamico. La Russia era basata su una autocrazia estremamente conservatrice e immobilista. In mezzo, c’era un’area tedesca non ancora unificata, una Prussia ancora incerta se orientarsi a est o a ovest e l’Austria desiderosa di porsi come elemento di equilibrio del sistema. In questo scenario, l’Inghilterra operò in modo che nessuna potenza (e soprattutto la Russia) acquisisse un ruolo egemone e puntò al controllo dei mari come potenza commerciale mondiale. La Russia nutriva ambizioni egemoniche sull’Europa centrale e si faceva portatrice delle più intransigenti istanze restauratrici. L’Austria seguiva una politica imperniata sul modello di equilibrio di Metternich, fondato sul vecchio sistema statale prerivoluzionario.
Che fare della Francia?
La prima questione che le potenze del Congresso di Vienna si trovarono ad affrontare riguardò il destino della Francia. Quale sorte riservare alla grande sconfitta? Infierire con grandi sottrazioni territoriali e umiliazioni politiche ed economiche o rispettarne la dignità? I negoziatori presenti al Congresso di Vienna si trovarono d’accordo sulla seconda soluzione, tranne lo zar, a cui stava a cuore la vendetta. All’Inghilterra l’esistenza di una Francia relativamente intatta era di buon auspicio. Essa non solo avrebbe costituito una barriera tra la costa atlantica e le potenze centrali, ma avrebbe controbilanciato il peso dell’altra grande antagonista, la Russia. Anche a Metternich faceva comodo una Francia ridimensionata nella sua egemonia, ma solida nella sua struttura politica e territoriale per l’equilibrio del sistema europeo, in cui l’Austria giocava un ruolo di potenza-chiave.
Le resistenze russe e le eccessive pretese prussiane non furono ascoltate al Congresso di Vienna. La Francia, sul cui trono fu posto il fratello di Luigi XVI, Luigi XVIII (1814-24), mantenne i territori del 1791, tranne una parte della Savoia e i domini coloniali. La Francia fu condannata a pagare un’indennità di guerra di 700 milioni e a subire un esercito di occupazione per tre anni. Ai suoi confine fu costituita una cintura di stati indipendenti per evitare rigurgiti rivoluzionari: il regno dei Paesi Bassi (Belgio e Olanda, sotto l’influenza inglese), il Regno di Sardegna, comprendente anche una parte della Savoia e Genova, a est gli stati tedeschi e la Prussia.
La situazione nel resto d’Europa
Al Congresso di Vienna, la Prussia non aveva ottenuto l’Alsazia-Lorena, ma aveva acquisito notevoli vantaggi nella sua politica di espansione a ovest, ottenendo gran parte della Sassonia e della Renania, compresi i giacimenti di carbone della Ruhr. La Russia, ottenne buoni risultati dal Congresso di Vienna. Pur non raggiungendo il desiderato dominio sul centro Europa, tuttavia ottenne la Finlandia e il controllo della Polonia, eletta regno costituzionale sotto il governo dello zar, incuneandosi così tra impero asburgico e Prussia, in un’area chiave del sistema militare europeo. L’Austria guadagnò una relativa egemonia nell’area tedesca. L’imperatore ottenne la presidenza della dieta di Francoforte, centro della confederazione degli stati tedeschi. Inoltre, con il Congresso di Vienna, l’Austria divenne un impero multinazionale, comprendente i territori nordorientali di Croazia, Ungheria, Boemia, Bucovina e Galazia e la piena egemonia della penisola italiana.
L’Austria possedeva in Italia il regno Lombardo-Veneto, il Trentino, Trieste e parte dell’Istria. Questi ultimi territori erano governati da un viceré. Controllava inoltre numerosi stati vassalli: il Ducato di Parma e Piacenza tramite Maria Luisa d’Asburgo, il Ducato di Modena e Reggio, retto da Francesco d’Asburgo-Este, il Ducato di Lucca. Il Granducato di Toscana tornò nelle mani degli Asburgo tramite Ferdinando III, fratello dell’imperatore d’Austria. Quest’ultimo ottenne anche il controllo militare sullo Stato pontificio e su Napoli, dove, grazie all’intervento austriaco contro Murat, era risalito sul trono Ferdinando I di Borbone, re “delle Due Sicilie”. Il Regno di Sardegna rimaneva relativamente indipendente con Vittorio Emanuele I di Savoia (1802-21) che guadagnò notevoli vantaggi derivanti dall’essere uno stato-cuscinetto nei confronti della Francia. La Spagna, sotto Ferdinando VII di Borbone, e il Portogallo mantennero i loro possedimenti coloniali ma nessun cospicuo vantaggio dal Congresso di Vienna.
Le ideologie della Restaurazione
La Restaurazione, oltre a una propria politica, ebbe anche una propria cultura, fondata sulla reazione contro i pericoli rappresentati dall’Illuminismo, dal mito del progresso, dalla rottura rivoluzionaria e dalla partecipazione delle masse. Legittimismo e tradizionalismo da un lato e costituzionalismo moderato dall’altro, costituirono le ideologie della Restaurazione. Il principio di “tradizione” era inteso come continuità storica e garanzia dell’antico ordine gerarchico fondato sulla fedeltà dei sudditi al sovrano, sulla prevalenza dei doveri sui diritti e sulla religione. In tale direzione, la scuola teocratica, cui si rifacevano i reazionari “puri”, giunse a sostenere la natura divina del potere regio e a identificare ordine sociale e volontà divina. Nelle ideologie del legittimismo e del tradizionalismo era implicito un modello politico rigidamente autocratico.
Esso era fondato sul blocco sociale aristocratico-terriero, assai ristretto, e sull’alleanza fra trono e altare, con la totale subalternità delle masse contadine e l’emarginazione politica della nascente borghesia. La componente meno oltranzista, l’ala progressista dell’aristocrazia, più consapevole della necessità di caute e sia pur parziali innovazioni, sosteneva l’applicazione di un moderato liberalismo costituzionale. Pur rifiutando il concetto di “sovranità popolare”, giudicava però improponibile il modello di stato assoluto dinastico predicato dai reazionari. Proponeva una sorta di “monarchia impersonale”. I suoi interessi legittimi dovevano essere definiti costituzionalmente e la sovranità regia doveva essere bilanciata da un limitatissimo principio rappresentativo.
Il sistema politico tra congressi e alleanze
La Santa alleanza (26 settembre 1815), promossa dallo zar con Prussia, Austria e Francia, e la Quadruplice alleanza (20 novembre 1815), voluta dall’Inghilterra con Prussia, Austria e Russia, avrebbero dovuto garantire l’equilibrio europeo formatosi con il Congresso di Vienna.
Ma gli alleati erano divisi dagli interessi divergenti. Al Congresso di Vienna, i vincitori non si limitarono a definire la nuova mappa geo-politica dell’Europa. Essi cercarono anche di organizzare le relazioni internazionali e un insieme di alleanze che garantisse stabilità al sistema. Tuttavia, in questo sistema le differenze divennero ancora più esplicite.
La Santa Alleanza
Lo zar Alessandro si fece promotore di una proposta di alleanza con l’obiettivo di difendere l’ordine assolutistico della religione e del principio dinastico. Un’alleanza diretta a sollecitare la repressione ovunque tali principi fossero stati messi in discussione. Firmata il 26 settembre 1815, essa prese il nome di Santa Alleanza e vi aderirono Russia, Prussia e Austria (più tardi anche la Francia). Ma non l’Inghilterra.
La Quadruplice Alleanza
Dopo il Congresso di Vienna, l’Inghilterra promosse, invece, un’intesa segreta per controllare la Francia. Essa fu siglata il 20 novembre 1815 assieme a Prussia, Austria e Russia. Prese il nome di Quadruplice Alleanza e prevedeva l’alleanza automatica nel caso in cui si ripetesse in Francia un’esperienza simile a quella napoleonica. Inoltre, la Quadruplice alleanza istituzionalizzò il sistema di conferenze periodiche per esaminare i provvedimenti ritenuti necessari al mantenimento della pace.
Tuttavia, la contrapposizione tra diverse linee politiche si manifestò anche in seno a questa alleanza. Mentre le potenze autocratiche intendevano farne uno strumento per la soppressione di ogni tentativo liberale, la più liberale Inghilterra intendeva utilizzare questa alleanza in funzione antifrancese. Inoltre, sempre più chiaro era l’antagonismo tra Inghilterra e Russia per l’egemonia mondiale. Le tensioni tra le due nazioni divennero costanti.
La potenza dell’Impero britannico
Con l’integrazione economica tra gli stati europei diveniva sempre più chiara la potenza commerciale dell’Inghilterra. Essa dominava la produzione industriale e la finanza europea, oltre ad aver esteso i propri possedimenti coloniali in India, Australia e sud-est asiatico. L’ordine politico che si formò con il Congresso di Vienna nasceva da uno dei mutamenti più profondi prodotti dall’era napoleonica: l’integrazione politica e l’interdipendenza tra tutti gli strati europei.
L’Europa risultava ormai un’entità politica unitaria, anche se divisa in stati retti da regimi differenti. Gli squilibri prodotti in una parte del Vecchio continente siu riflettevano in tutta l’Europa. La Restaurazione fu il tentativo di consolidare questa integrazione in una situazione di pace. La Restaurazione fu il tentativo di creare un equilibrio europeo attraverso contratti in modo che nessuna singola potenza avesse un ruolo egemone.
Il predominio britannico in Europa
L’integrazione politica presupponeva anche l’integrazione economica. I Paesi europei erano legati fra loro da una fitta rete di scambi di merci, servizi, techiche, persone. Accanto al sistema politico internazionale, le cui regole si erano formate al Congresso di Vienna, si veniva così formando un sistema economico internazionale, un sistema di produzione e di scambi le cui regole si erano formate spontaneamente. Ma mentre a livello politico non poteva emergere alcuna nazione, sul piano economico si delineava chiaramente l’egemonia della Gran Bretagna, dove, tra l’altro, era in atto la Rivoluzione industriale.
Il predominio marittimo e commerciale britannico era affiancato da un evidente predominio produttivo, che rafforzò ulteriormente per tutto il corso dell’età della Restaurazione. Ma la predominanza commerciale dell’Inghilterra si allargava all’intero mondo. Se le potenze della Santa alleanza rimanevano prettamente europee, e mentre le antiche potenze colonizzatrici della Spagna e del Portogallo perdevano i loro possedimenti americani, la Gran Bretagna consolidava i propri possedimenti coloniali e imponeva la propria egemonia economica nel continente americano.
La contraddizione tra ordine politico e sistema economico
Il sistema economico internazionale dominato dalla Gran Bretagna era un sistema dinamico e in espansione, di portata mondiale. Il sistema politico internazionale elaborato con il Congresso di Vienna era invece esclusivamente europeo e statico. Lo scopo primario delle potenze che lo controllavano non era l’espansione ma la preservazione dello status quo. I protagonisti della Restaurazione erano consapevoli di questa contraddizione. L’emarginazione della Gran Bretagna dalla politica europea e la politica doganale, volta a rendere più difficile la penetrazione delle merci britanniche, furono le misure più importanti intraprese per arginare la crescita della potenza inglese.
Il governo britannico, adottando le dottrine del libero scambio degli economisti inglesi come Adam Smith, si presentava come il difensore a livello mondiale di quella libertà di commercio tanto voluta dalla classe imprenditoriale emergente di vecchi e nuovi Paesi. Mentre la Gran Bretagna poteva accettare di rimanere ai margini della politica europea, la sua egemonia economica era tale da costringere le potenze centro-europee ad assoggettarvisi. Era infatti al mercato londinese dei capitali che l’impero austroungarico e le altre potenze della Santa alleanza dovevano attingere i fondi necessari per far fronte ai propri imnpegni finanziari.
La nascita della finanza
La City, il centro degli affari di Londra, divenne così un grande mercato internazionale del denaro, in cui le disponibilità finanziarie della borghesia britannica e non solo si incontravano con le richieste di fondi dei governi. A far da mediatori, sottoscrivendo direttamente con i propri capitali molti grossi prestiti e garantendo la circolazione internazionale del denaro, erano i grandi finanzieri come i Rothschild.
Essi furono i primi rappresentanti di una nuova potenza, indipendente da ogni governo e capace di condizionarli tutti. Questa nuova potenza era destinata ad assumere un ruolo decisivo nell’economia e nella politica europea della seconda metà dell’Ottocento: il capitale finanziario internazionale.