La storia dei grandi acquedotti dell’antica Roma e dei complessi termali rappresenta un capitolo importantissimo nelle conquiste ingegneristiche dell’epoca. Il sistema di approvvigionamento idrico dell’Antica Roma è una straordinaria testimonianza dell’abilità tecnica e urbanistica dei romani. Esso dimostra anche la loro comprensione dell’importanza dell’acqua per la vita quotidiana e la salute pubblica.
Grandi acquedotti dell’antica Roma
Nel corso dei secoli, i Romani costruirono un’imponente rete di acquedotti per trasportare l’acqua dalle lontane sorgenti fino alle città. Gli acquedotti dell’antica Roma, spesso estesi per decine di chilometri, superavano gli ostacoli naturali attraverso un complesso sistema di archi e canali. Queste imponenti infrastrutture fornivano acqua potabile ed erano indispensabili per il funzionamento delle numerose terme pubbliche. I complessi termali erano il simbolo del benessere e del prestigio raggiunto da questa civiltà e svolgevano una funzione sociale importante nell’antica Roma.
Il famoso geografo greco Strabone scrisse del sistema idrico di Roma: “La quantità di acqua che scorre nella città è così grande che i fiumi defluiscono attraverso esse anche attraverso canali sotterranei. Quasi ogni casa ha le proprie condutture e cisterne, e vanta fontane che zampillano copiosamente”.
Un po’ di numeri
Quando Strabone scrisse queste parole, Roma aveva solo sette grandi acquedotti. Entro la metà del I secolo d.C., questo numero era arrivato a nove e infine a undici nel 226 d.C. In totale, gli acquedotti dell’antica Roma erano lunghi oltre 500 chilometri.
Si stima che ogni giorno arrivasse a Roma un minimo di 500.000 metri cubi d’acqua. Tuttavia, questo numero non tiene conto di tutta l’acqua perduta lungo il percorso a causa di perdite, riparazioni, sversamenti e infiltrazioni. Considerando una popolazione di 1 milione di abitanti, la disponibilità idrica pro capite era pari a 500 litri. Questa cifra non sarà più raggiunta fino al XX secolo, e non ovunque.
Gli acquedotti dell’antica Roma e loro organizzazione
Gli acquedotti dell’antica Roma si presentavano come maestose opere di ingegneria. Infatti, essi furono progettati per trasportare l’acqua che sgorgava da fonti lontane direttamente nelle città. Considerando le attività quotidiane, le esigenze dell’epoca e il fatto che l’acqua scorreva giorno e notte senza sosta, è facile comprendere che solo una piccola parte della disponibilità idrica pro capite era effettivamente utilizzata.
La maggior parte dell’acqua confluiva così nei bacini di raccolta attraverso un sistema di canali. L’acqua utilizzata durante le ore diurne era divisa in tre circuiti. Il circuito pubblico riforniva i cittadini e alimentava le fontane urbane. C’era poi il circuito riservato alle terme. Infine, il circuito che portava l’acqua nelle abitazioni private, attraverso apposite condotte.
Fonti per la storia degli acquedotti romani
La fonte principale per la storia degli acquedotti romani è l’opera di Frontino. Nel 97 d.C. egli fu nominato direttore generale dell’approvvigionamento idrico della città di Roma. Egli scrisse alcune relazioni, secondo le quali circa il 45% dell’acqua riforniva le case private, anche se la percentuale della popolazione che godeva di questo privilegio era probabilmente molto più bassa.
Come furono costruiti gli acquedotti romani
Gli acquedotti dell’antica Roma furono realizzati principalmente utilizzando pietra, mattoni e cemento pozzolanico. Quest’ultimo rappresentava un materiale innovativo per l’epoca ed era ottenuto miscelando pozzolana, calce viva e acqua. Quasi tutto il percorso degli acquedotti era sotterraneo. Nelle valli o per superare altri ostacoli naturali, gli acquedotti correvano su imponenti arcate.
Il problema delle pendenze che gli acquedotti romani dovevano inevitabilmente affrontare fu risolto adottando un gradiente basso. Essi avevano una pendenza molto lieve che assicurava che lo scorrimento dell’acqua in modo costante ma lento verso la sua destinazione. Ciò era essenziale anche per mantenere la pressione dell’acqua costante e prevenire l’erosione della struttura.
La distribuzione dell’acqua nell’antica Roma
Giunta in città, un sofisticato sistema di condutture secondarie distribuiva l’acqua. Questo sistema alimentava fontane pubbliche, terme, case private e le attività produttive. In epoca repubblicana la richiesta dell’allacciamento privato alla rete idrica doveva essere inoltrata agli edili e ai censori. In epoca imperiale, direttamente agli imperatori. Ottenere il permesso durante la Repubblica era piuttosto difficile. Gli imperatori, invece, furono più indulgenti nel concedere questo privilegio. Infatti, esso era concepito come scambio politico, soprattutto nei confronti delle classi dirigenti e delle élite.
Il permesso era vincolato alla persona che ne faceva richiesta e, alla sua morte, la domanda doveva essere presentata nuovamente. Avere l’acqua in casa era considerato un lusso per ricchi perché tutte le condutture erano a pagamento. Per questo motivo, esse recavano inciso il nome del proprietario. La maggior parte delle case in affitto, le cosiddette insulae, erano sprovviste di tubature. I romani prelevavano l’acqua per il loro consumo quotidiano da fontane pubbliche e serbatoi distribuiti in tutta la città.
I serbatoi
I serbatoi erano collegati ad almeno due acquedotti. Ciò consentiva di avere sempre acqua corrente fresca, anche in caso di lavori e riparazioni su uno dei due. L’igiene delle vasche era molto importante e la contaminazione di un serbatoio prevedeva la punizione tramite multa. I residenti dei quartieri assumevano delle sentinelle per monitorare la pulizia dei bacini idrici.
Il viaggio dalla prima fontana pubblica alla propria abitazione era solitamente breve perché in tutta la città si trovava un grandissimo numero di fontane. L’acqua era trasportata a casa a piedi o tramite carrucole ai piani superiori. C’erano anche i portatori d’acqua, professione praticata da molti romani.
Il sistema idrico nelle altre parti dell’Impero Romano
Mentre a Roma l’acqua era sempre disponibile, lo stesso non si poteva dire per altre parti dell’impero. A Pompei, ad esempio, si adottò un sistema semplice ma efficace per preservare le risorse idriche. Gli acquedotti terminavano in città attraverso una struttura a piani da cui partivano tre percorsi per la distribuzione dell’acqua. Il percorso più basso alimentava le fontane delle pubbliche vie. In questo modo, anche in caso di flusso ridotto, tutti i cittadini avevano accesso a una certa quantità d’acqua. Il percorso di mezzo riforniva le terme e gli edifici di rappresentanza.
Il percorso più alto trasportava l’acqua alle case private. La quantità d’acqua dipendeva dal livello massimo nei bacini. Tuttavia, le case erano dotate anche di piccoli serbatoi, fontane private e cisterne per la raccolta dell’acqua piovana che si trovavano nei cortili interni. Nelle campagne c’erano pozzi e sorgenti naturali.
L’igiene personale degli antichi Romani
Acqua significa igiene e pulizia. I romani dell’età imperiale consideravano i loro predecessori dei grandi sporcaccioni. Il motivo? All’epoca, il bagno completo avveniva solo nei giorni di mercato, quindi ogni 9 giorni. Pertanto, per molto tempo, i romani non ebbero l’abitudine regolare di fare il bagno, anche nelle case private dove era disponibile l’acqua corrente.
Ma si può facilmente immaginare il perché. Il bagno era solitamente accanto alla cucina. Era un ambiente stretto e freddo e l’acqua che arrivava era torbida. Se pioveva, era anche fangosa. Tutto cambiò in epoca imperiale. Nelle case dei ricchi i bagni diventarono spaziosi e lussuosi. Tuttavia, la maggior parte della popolazione romana non poteva ancora permettersi di frequentare i bagni privati (balnea). Alla fine del II secolo a.C. le cose cambiarono nuovamente.
Stabilimenti balneari pubblici
Infatti, si diffusero sempre più gli stabilimenti balneari pubblici, i balnea meritoria. Il prezzo per accedervi era modesto, un po’ più caro per le donne. Tutti i romani poterono così permettersi di lavarsi più spesso e a fondo. Un secolo dopo la loro comparsa, a Roma si contavano 70 balnea, e il numero continuò a crescere nel tempo.
All’interno degli stabilimenti termali vi erano le vasche per il bagno freddo (frigidarium), il bagno tiepido (tepidarium), il bagno caldo (calidarium), la sauna e le palestre per l’attività fisica. Gli ambienti erano frequentemente decorati e i proprietari competevano tra loro per aumentare i servizi. Il sistema di riscaldamento delle terme, detto ipocausto, rappresenta un’altra testimonianza dell’ingegneria idraulica romana. Un sistema di tubazioni sotto il pavimento delle vasche e dei vani permetteva di riscaldare l’aria e l’acqua, creando ambienti confortevoli.
Terme e tempo libero
I bagni erano separati per uomini e donne, ovvero potevano accedere clienti diversi in orari diversi. I bagni misti erano disapprovati anche perché all’interno le persone erano coperte al minimo. Alle terme la promiscuità era bandita e sembra che, nei pressi dei grandi complessi termali, la presenza di bordelli e prostitute fosse vietata.
Ma le terme divennero presto un luogo dove trascorrere il tempo libero, oltre a lavarsi. Molti imperatori costruirono enormi stabilimenti che diventarono una sorta di parco acquatico per il popolo. Le terme più grandi, come le Terme di Caracalla o le Terme di Diocleziano, erano grandi complessi architettonici dotati di numerose piscine, palestre e spazi per attività sociali. I romani vi si recavano soprattutto il pomeriggio dopo aver sbrigato le pratiche lavorative.
Le acque termali
I romani nutrivano una fiducia sconfinata nelle proprietà terapeutiche delle acque termali. Nel I secolo a.C. le terme più famose erano quelle di Aquae Cumanae, in località Baiae, nel Golfo di Napoli. Baiae era la località termale più esclusiva e mondana del mondo romano. La gente vi si recava non solo per cure mediche, ma anche per abbandonarsi ad amori fugaci, divertirsi e trascorrere il tempo libero. Le località termali non si trovavano solo lungo le rive del Mediterraneo ma anche al di là delle Alpi, come a Baden-Baden, Aquisgrana e Wiesbaden.
In Inghilterra c’era Bath, molto popolare anche in epoca romana. Altri bagni erano diffusi in Francia. L’efficacia delle acque termali fu oggetto di accesi dibattiti tra i medici. Molti medici erano scettici, ma altri le consideravano addirittura dannose per la salute. Per questo motivo si diffuse l’uso della terapia dell’acqua fredda, ideata da Charmis di Massalia. Questa pratica consisteva nel sottoporre a docce fredde quei pazienti che si erano troppo abituati alle calde acque termali di Baia.
Le cloache e la gestione delle acque reflue
Oltre alla fornitura di acqua pulita e fresca, i romani svilupparono anche un sistema per la gestione delle acque reflue. La Cloaca Maxima, uno dei più antichi sistemi fognari conosciuti, è un esempio di tale ingegneria. Questa rete di drenaggio serviva a rimuovere le acque reflue e piovane dalla città, contribuendo in modo significativo all’igiene e alla salute pubblica.
L’efficienza e la sofisticatezza del sistema idrico tramite i grandi acquedotti dell’antica Roma non avevano precedenti nel mondo antico. Essi influenzarono profondamente le successive opere di ingegneria idraulica in tutta Europa e nell’area mediterranea. Queste strutture migliorarono la qualità della vita quotidiana a Roma e riflettevano anche il valore che gli antichi romani attribuivano alla salute pubblica, al benessere e al progresso tecnologico.
Libri per approfondire
Regina Aquarum. Roma antica e il governo dell’acqua
Passioni e divertimenti nella Roma antica: L’eros, la tavola, i costumi, gli spettacoli
Acquedotti dell’antica Roma immagini