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Fossacava a Carrara: una splendida cava romana del I secolo a.C.

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La storia di Fossacava, un’incredibile cava di Carrara dove l’estrazione del marmo iniziò in epoca romana, nel I secolo a.C.

Il marmo di Carrara

L’estrazione dei marmi delle Alpi Apuane ebbe inizio in epoca romana e proseguì quasi ininterrottamente per oltre duemila anni. Notizie di scrittori di quell’epoca e testimonianze archeologiche come tracce di taglio a piccone, manufatti semilavorati, sculture, ceramiche, monete ci dicono che il bacino marmifero di Carrara è stato al centro di un intenso sfruttamento. Il commercio del marmo avveniva tramite la colonia romana di Luni, fondata nel 177 a.C. e dotata di un porto alla foce del fiume Magra. Dal I secolo d.C. gli imperatori assunsero il controllo diretto delle cave e i marmi di Carrara furono impiegati sempre più nella scultura, nell’architettura e nella decorazione di edifici pubblici e privati di Roma e di tutto l’Impero, in sostituzione dei marmi greci.

La storia di Fossacava

La cava di Fossacava fa parte del bacino marmifero della città di Carrara, in particolare quello di Colonnata, uno dei più sfruttati in epoca romana. Il suo nome trae origine dalla forma ad anfiteatro, costituitasi in seguito alle attività estrattive dei marmi di colore grigio-azzurro. Alla fine dell’Ottocento, nel sito erano ancora presenti manufatti semilavorati, che recavano iscrizioni incise. Nel febbraio 1927, sotto a detriti di epoca romana, fu trovata una zampa di leone in marmo lunense. Negli anni Trenta del Novecento emersero attrezzi da lavoro in ferro e una statuetta della dea Luna. Questa, probabilmente, in origine si trovava collocata in un luogo di culto dei cavatori. Il Museo Civico del Marmo di Carrara espone questa statuetta di epoca antica e un modellino che ricostruisce la forma ad anfiteatro della cava di Fossacava con il piazzale adibito alla lavorazione e altri reperti.

Il versante sud di Fossacava presenta le tracce più numerose meglio conservate, per poi congiungersi nella parte finale a uno sperone caratterizzato dalle tracce di più recente lavorazione. Povero di testimonianze appare invece il versante nord, più esposto all’erosione.

I metodi di estrazione e lavorazione del marmo dei Romani

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I metodi estrattivi impiegati dai Romani sono noti da tempo, grazie ai ritrovamenti degli antichi strumenti di lavoro rinvenuti presso le cave. Inoltre, tali tecniche continuarono a essere utilizzate per tutto il Medioevo e oltre, fin quasi ai nostri tempi.
Una volta individuato il blocco da estrarre, questo era segnato e tutto intorno era praticata la tagliata con gli scalpelli. Si trattava di un profondo solco a forma di V. Nel solco effettuato erano poi inseriti cunei di ferro che ingrandivano il solco a suon di martello. Il blocco si sfaldava a mano a mano e quando era sul punto di staccarsi, gli operai intervenivano con pali.

Il blocco estratto era riquadrato, o segato, oppure ancora abbozzato sul luogo. Infatti, i ritrovamenti di frammenti
scultorei e architettonici abbozzati, rinvenuti in varie cave, e la presenza di statue scolpite raffiguranti divinità indicano che in cava, accanto agli scavatori e alla bassa manovalanza, lavoravano anche operai per così dire specializzati e con qualifiche superiori, anche se non si trattava di artisti e scultori di professione.

La via del mare

I blocchi estratti e riquadrati erano infine contrassegnati con sigle o numeri progressivi. Li si faceva scivolare sui detriti per raggiungere la strada oppure erano trasporti su travi di legno, trattenute da funi, lungo le vie di lizza per raggiungere i piazzali più a valle.

Qui erano caricati sui carri e trasportati fino al porto di Luni, da dove partivano le navi marmorarie alla volta di Roma e delle provincie dell’Impero.

I reperti di Fossavaca

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In età moderna, il sito comparve per la prima volta con il nome di Cava antica La Fabbrica in un disegno del pittore massese Saverio Salvioni che, tra il 1810 e il 1813, realizzò una serie di vedute delle cave di Carrara. All’incirca nello stesso periodo, l’erudito carrarese Emanuele Repetti, in un’opera sui marmi apuani, descrisse la cava di Fossacava con queste parole: “Essa è al pari dei Fanti scritti e del Canal grande, una specie di anfiteatro escavato in un mezzo ad un altissima roccia”. Alla fine dell’Ottocento, il padre barnabita Luigi Bruzza, che fu tra i primi a cimentarsi nello studio delle iscrizioni delle cave romane, rese note sette iscrizioni presenti su blocchi di marmo, provenienti dalla cava detta Fossacava situata di fronte alla cava di Gioia.

Nel 1911 la cava fu riconosciuta di epoca romana e, come tale, dichiarata di interesse dal Ministero della Pubblica Istruzione. Negli anni Venti, Luisa Banti, Ispettrice del Ministero, rese noti altri ritrovamenti archeologici avvenuti nell’area di Fossacava. Tra questi figurava una piccola statua di Artemis, una probabile personificazione della dea Luna e della città di Luni, una zampa di leone in marmo, formelle in marmo. E ancora strumenti per l’estrazione e una fibula in bronzo, poi andati perduti. Gli studi recenti hanno tuttavia permesso di stabilire che tali reperti non provenivano dal sito de La Fabbrica ma da un’altra area di estrazione di età romana ubicata sul costone che guarda verso il monte di Gioia e attualmente non più visibile.

Il percorso di Fossacava

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All’interno di Fossacava una serie di passerelle e percorsi permettono di visitare l’area archeologica di epoca romana. All’inizio del percorso troviamo un settore dove compaiono tracce che risalgono alle tecniche di escavazione del marmo di età romana. Sono visibili alcune trincee, scavate con il piccone pesante per una profondità di 40-50 centrimetri e una lunghezza di 6-7 metri circa. Lungo i bordi inferiori delle trincee era praticata un’incisione (formella), in cui erano inseriti cunei di ferro di forma trapezoidale (piattine). I cunei, percossi con martelli, producevano il distacco del blocco lungo un piano orizzontale o sfruttando una frattura naturale (pelo).

Le tracce visibili in questa area appartengono a una fase tarda dello sfruttamento del marmo di Fossacava. Le trincee, poche e con orientamento diverso, indicano che in questo settore lo sfruttamento fu breve e che, quando l’estrazione del marmo terminò, non si era ancora riusciti ad aprire un vero e proprio fronte di cava (caesura).

I blocchi

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Continuando il percorso possiamo ammirare diversi blocchi semilavorati, situati all’interno dello scavo di età romana. Essi presentano iscrizioni, i cosiddetti “marchi di cava” cioè sigle funzionali all’organizzazione dell’attività estrattiva. Tra le informazioni fornite possiamo trovare il nome del proprietario della cava (ad esempio COL, per colonia, indica che la proprietà è della colonia di Luni), il settore di estrazione del blocco (ad esempio CAE per “caesura”, indica il fronte di cava, mentre LO e LOC, per locus, indica un settore del fronte di cava), il nome del responsabile dell’attività di taglio (ad esempio HILAR, per Hilarius, indica il nome del capocantiere, forse uno schiavo).

In particolare, nel primo blocco, il termine “Ephebus“, che identificava uno schiavo di origine orientale, è seguito da CAE che indica forse la provenienza del blocco dalla caesura. Un secondo personaggio detto Pudens, verosimilmente uno schiavo, viene ricordato al termine della sigla. Caledus, anche egli uno schiavo di origine orientale, sigla il secondo blocco, indicandolo con il numero 19. Rimane ignoto il significato della B della iscrizione.

La grande tagliata romana

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Alta 20 metri e larga 50 metri, la grande tagliata romana nel fronte cava meridionale, reca in tutta la parete i segni dei picconi e dei cunei, mediante i quali sono stati staccati i blocchi di marmo. Questi segni sono stati lasciati nel corso di almeno tre secoli dagli strumenti impiegati nell’attività estrattiva di epoca romana. Grazie ad alcuni rinvenimenti effettuati nelle cave di Carrara, sappiamo che gli strumenti principali erano tutti in ferro ed erano il piccone pesante, utilizzato per scavare le trincee, e le mazze e le piattine, usate insieme per ottenere il distacco del blocco di marmo dalla parete.

I filoni di marmo sono stati scavati a partire dall’alto per mezzo di tagli, che hanno lasciato tracce “a festone”, e di formelle ripetute ogni 50-90 centimetri, posizionate in perpendicolare rispetto alle principali fratture naturali, caratterizzate invece da un andamento verticale. L’inclinazione della parete e le fittissime solcature orizzontali visibili sono il risultato finale di questa lunga e costante attività. La grande tagliata romana reca anche alcune iscrizioni. La più vistosa e visibile è costituita dalle lettere DM, nel settore orientale della parete. Esse indicano probabilmente la divisione del fronte di cava in più settori, ognuno dei quali posti sotto la responsabilità di un caposquadra.

Il ravaneto

Uno scavo effettuato nel 2015 lungo la tagliata sud ha permesso di individuare una stratificazione archeologica costituita da accumuli di scaglie e blocchi di marmo, i cosiddetti ravaneti, formatisi in diverse epoche, dal periodo romano fino al secolo scorso. Lo sfruttamento ebbe inizio nel I secolo a.C. Il fronte cava meridionale fu coltivato a partire dalla quota 492 metri s.l.m, per una profondità di oltre 20 metri, fino a quota 471 metri s.l.m.

Verso la metà del II secolo d.C. l’estrazione da questo fronte si interruppe e l’area ai piedi della tagliata fu occupata da una discarica per le scaglie e i blocchi provenienti da lavorazioni di altri settori della cava. Si formò in tal modo un primo ravaneto, alto circa 2 metri, che copriva completamente il fondo della cava. Su questo nuovo livello (473 metri s.l.m) si installò una officina destinata alla sbozzatura dei blocchi semilavorati.

I secoli successivi

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L’indagine archeologica del 2015 ha permesso di identificare l’assetto della cava nel momento in cui essa venne abbandonata, intorno al III-IV secolo d.C, quando gli ultimi blocchi di marmo in corso di lavorazione furono lasciati sul posto. Alcuni di essi apparivano praticamente pronti per il trasporto. Il sito fu poi ripreso e frequentato in epoca medievale, forse solo al fine di prelevare i blocchi di marmo abbandonati, che lì giacevano dall’epoca romana.

Nuovi scarichi di detriti di marmo e blocchi provenienti da cave vicine riempirono nuovamente la cava in epoca moderna. Negli anni che seguirono la fine della Seconda Guerra Mondiale, nell’angolo sud-occidentale della cava di Fossacava, fu aperto per breve tempo un nuovo fronte di cava con tecniche moderne (filo elicoidale). Esse asportarono parte delle tracce della tagliata romana.

Visitare Fossacava: informazioni utili

La cava di Fossacava si trova lungo la strada comunale per Colonnata e può essere visitata autonomamente o prenotando una visita guidata. Il percorso di visita è corredato di pannelli dotati di QR code che accompagnano i visitatori in un tour virtuale con video 3D sull’attività della cava dall’epoca romana ai nostri giorni. Recentemente sono state abbattute le barriere architettoniche ed è presente un InfoPoint al parcheggio.

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