Il bombardamento di Montecassino fu uno degli eventi italiani più drammatici della Seconda Guerra Mondiale. Le forze alleate, nel tentativo di sfondare la Linea Gustav e avanzare verso Roma, bombardarono pesantemente l’antica abbazia benedettina di Montecassino, ritenuta erroneamente una postazione tedesca. Ancora oggi ci si chiede se la religione e l’arte siano state vittime che si potevano evitare. Ecco il racconto dell’episodio e la testimonianza di un protagonista della comunità monastica.
Il bombardamento di Montecassino: l’abbazia nel dramma della Seconda Guerra Mondiale
Alle ore 5.45 del 15 febbraio 1944, giorno della festa dei Santi Faustino e Giovita di Brescia, al 96° Gruppo da Bombardamento con base a Foggia fu consegnato il seguente dispaccio in una grotta sotterranea in cui si era rifugiato:
“L’obiettivo è un enorme e antico monastero che i tedeschi hanno scelto come punto chiave di difesa e che hanno dotato di armi pesanti. Quei membri dell’equipaggio che hanno prestato servizio durante la campagna d’Africa ricorderanno come non bombardammo le moschee per motivi religiosi e umanitari. Per questi motivi e poiché i tedeschi e gli italiani lo sanno, molti vivevano in questi edifici. Sapevano che non avremmo bombardato questi posti. I tedeschi continuano a essere convinti di questo… Negli ultimi giorni questo monastero ha reso conto della vita di oltre 2.000 ragazzi americani che la pensavano come noi nei confronti delle proprietà della chiesa e che ne hanno pagato le spese perché i tedeschi non capiscono nulla di umano quando si tratta di guerra totale. Questo monastero DEVE essere distrutto e tutti quelli che vi sono dentro perché non c’è nessuno al suo interno tranne che i tedeschi!”.
L’abbazia di Montecassino
Il monastero di Montecassino fu fondato da San Benedetto nel 529. Qui il santo scrisse la sua prima Regola che divenne il principale modello per il monachesimo occidentale. Nel 577, l’edificio subì la prima delle sue quattro distruzioni, quando fu saccheggiato dai Longobardi. Nel 717 fu restaurato e nel corso del IX secolo ebbe un ruolo di primo piano nella Rinascita carolingia. Le sue ricchezze, però, attirarono i Saraceni che lo saccheggiarono nuovamente nell’883.
Con l’abate Desiderio, nell’XI secolo, il monastero di Montecassino visse un periodo d’oro. Fu questo il momento in cui l’istituzione accumulò gran parte dei suoi possedimenti e una vasta e preziosa biblioteca. Due secoli dopo, nel 1549, un terremoto causò enormi danni ma Montecassino sopravvisse fino all’epoca napoleonica, quando riuscì a salvarsi anche dalla soppressione dei monasteri. L’abbazia benedettina rappresentava un punto di riferimento troppo importante per la cristianità in Italia e in tutta Europa.
Il dramma della Seconda Guerra Mondiale
Dopo i difficili sbarchi alleati in Sicilia e a Salerno, Montecassino era stata scelta dal feldmaresciallo Kesselring, al comando degli eserciti tedeschi in Italia, come punto focale del complesso sistema difensivo della Linea Gustav, che divideva in due la penisola, correndo dal Golfo di Gaeta sul Mar Tirreno fino a Ortona sull’Adriatico, passando per Cassino.
Il generale Mark Clark, comandante della 5a Armata statunitense, scrisse nella sua autobiografia che “Un intero libro potrebbe essere dedicato al vasto lavoro svolto dall’organizzazione tedesca Todt (nda l’ente di costruzione tedesco che, per ordine di Hitler, eresse la linea Gustav) nel convertire le montagne dietro la linea di difesa fluviale nemica in un bastione di acciaio rinforzato e cemento“. Intorno al monastero benedettino fu istituita una zona neutrale di 300 metri. Tuttavia, come vedremo, non bisogna lasciarsi ingannare dalla capziosa osservazione del feldmaresciallo Kesselring secondo cui “l’abbazia non era inclusa nella zona dei combattimenti“.
I precedenti
A differenza degli Alleati, i tedeschi erano consapevoli del pericolo in cui versava l’edificio di culto a causa della sua posizione sulla Linea Gustav. Già il 14 ottobre 1943, il segretario dell’abate di Montecassino Gregorio Diamare, don Martino Matronola, registrò nel suo diario l’arrivo del tenente colonnello Schlegel che, a nome del Comando Supremo Militare tedesco, offrì i mezzi per salvare tutti i tesori dell’abbazia, in quanto “presto sarebbe ricaduta entro linea di fuoco”. A questo punto occorre fare un passo indietro. Infatti, all’interno dell’abbazia di Montecassino si trovavano migliaia di opere d’arte provenienti da Napoli, Capodimonte, Siracusa e diverse altre città, portate temporaneamente qui per salvarle dalla distruzione dei combattimenti in corso nel sud Italia fin dall’estate precedente. Il luogo era ritenuto sicuro per la sua importanza storica, religiosa e culturale, un ruolo che lo avrebbe salvato dalla guerra.
Il tenente colonnello Schlegel invitò anche i monaci ad andarsene ed essi si riunirono nel pomeriggio per discuterne. Fu una riunione molto concitata, poiché i fedeli rifiutavano di prendere coscienza del pericolo e di andarsene. Tuttavia, nel giro di due giorni, iniziò lo sgombero dell’archivio e della biblioteca. I beni artistici dell’abbazia furono in parte portati in Vaticano a Roma e in parte trafugati a Berlino. Quasi tutti gli ottanta monaci residenti accompagnarono i camion carichi dei tesori. A Montecassino rimasero solo l’abate Gregorio Diamare, il segretario don Martino e altri quattro monaci per prendersi cura dell’edificio.
La battaglia di Cassino: storia vera
Ai piedi dell’abbazia si estendeva l’antica città romana di Casinum, che nel 1944 contava 25.000 abitanti. Cassino rappresentava la porta d’accesso alla Valle del Liri e a Roma, situata a 140 km più a nord. Solo la statale n° 6 Casilina risaliva la valle, passando direttamente sotto la collina su cui sorgeva il monastero benedettino. Il generale Sir Harold Alexander comandava il teatro di guerra italiano, a capo del 15º Gruppo d’armate in Italia.
Nella scala gerarchica militare, sotto di lui c’erano il generale Mark Clark, comandante della 5a Armata americana, e il generale Oliver Leese, a capo dell’8a Armata britannica, ormai impantanata sul fronte adriatico. La 5a Armata americana era una truppa di recente formazione, composta da soldati americani, britannici, francesi, algerini, marocchini, indiani, polacchi e neozelandesi. Nemica diretta della 5a Armata era la 14a Panzer-Division del Generale Fridolin von Senger und Etterlin.
La prima battaglia di Cassino
La prima battaglia di Cassino fu combattuta principalmente dalla 5a Armata di Clark tra il 20 gennaio e il 12 febbraio 1944. L’assalto fu lanciato frettolosamente e in condizioni meteorologiche pessime al fine di agevolare lo sbarco alleato ad Anzio, previsto per il 22 gennaio. Per gli Alleati, forzare la Linea Gustav significava poter arrivare a Roma. Hitler ordinò che: “La linea Gustav deve essere mantenuta a tutti i costi in nome delle conseguenze politiche che deriverebbero da una difesa pienamente riuscita. Il Führer si aspetta la lotta più aspra per ogni metro“. Ma lungi dal forzare il fronte di Cassino per fronteggiare l’imminente minaccia di Anzio, il feldmaresciallo tedesco Kesselring reagì rapidamente, mobilitando rinforzi che repressero entrambi gli assalti degli Alleati.
La strenua difesa del fronte cassinese di Hitler rappresentò la causa del bombardamento di Montecassino: nella prima battaglia gli eserciti di Clark subirono perdite pesantissime che andavano assolutamente riscattate. Ad esempio, due gruppi di brigata della 36a Divisione americana del Texas, che tentarono di forzare il fiume Rapido, e la 54a Divisione americana, che avanzò verso l’abbazia, furono completamente decimate. Le ingenti perdite di vite umane fornirono lo spunto per riunire le massime cariche dello Stato maggiore alleato che decisero di effettuare il bombardamento di Montecassino, fissato per il 12 febbraio.
L’abbazia era al sicuro?
Precedentemente, i tedeschi avevano assicurato al Vaticano che le loro truppe non avrebbero occupato l’abbazia di Montecassino. Il segretario dell’abbazia, don Martino, effettivamente registrò nel suo diario che l’esercito tedesco rispettò questo impegno. Tuttavia, i proiettili sparati da entrambe le parti colpirono più volte le mura dell’antico monastero. Come i tedeschi, anche il governo britannico e quello americano avevano assicurato che sarebbe stata garantita la sicurezza dell’edificio di culto.
Tuttavia, il generale Eisenhower il 29 dicembre scrisse: “Se dobbiamo scegliere tra la distruzione di un edificio famoso e il sacrificio dei nostri uomini, allora la vita dei nostri uomini conta infinitamente di più e saranno gli edifici ad andarsene. Non può esistere un argomento più forte della necessità militare“. Alla 2a Divisione neozelandese e alla 4a Divisione indiana, arruolate per il fronte Adriatico, fu affidato il compito di guidare il nuovo attacco, noto come seconda battaglia di Cassino.
La preparazione della seconda battaglia di Cassino
A capo di nuovo tentativo per forzare la Linea Gustav vi era il tenente generale britannico Bernard Freyberg. Sotto di lui c’era il comandante della divisione indiana, il maggiore generale Francis Tucker, come Freyberg un veterano del Nord Africa. Tucker era un pianificatore meticoloso e dotato di grande esperienza nelle operazioni di guerra in montagna.
Lo stile diretto e il metodo di Freyberg lo preoccupavano. Il suo istinto gli suggeriva che il miglior piano consisteva nell’aggirare Montecassino con un ampio movimento, seguito da un assalto presso il fiume che attraversava Cassino a sud per stabilire una solida testa di ponte lungo la Statale Casilina. Tuttavia, secondo Tucker, un eventuale attacco frontale doveva essere accompagnato da una concentrazione di potenza di fuoco eccezionale. Mandò un subalterno a Napoli per cercare un libro sulla celebre abbazia, per rendersi meglio conto delle conseguenze di quell’eccezionale potenza di fuoco sull’edificio di culto.
Il libro sull’abbazia
Il 12 febbraio, Tucker incontrò Freyberg per mostrargli un libro del 1879 in cui si trovava una descrizione dettagliata della costruzione dell’abbazia di Montecassino. Il testo rivelò quale formidabile edificio fosse quel monastero, con muri solidi, alti 46 metri e spessi almeno 3 metri alla base. Tucker, uno dei generali più favorevoli al bombardamento di Montecassino, aggiunse che, occupata o meno dai tedeschi, l’abbazia sarebbe diventata lo stesso una fortezza nemica ed era quindi essenziale la sua distruzione.
Tucker ribadì la validità del suo piano tattico, ma Freyberg fu irremovibile, deciso ad effettuare l’attacco frontale. Tuttavia, su una cosa i due concordavano: l’abbazia doveva essere attaccata. Il generale Mark Clark si mostrò invece più reticente. Quest’ultimo era convinto che la distruzione dell’abbazia avrebbe consegnato ai tedeschi su un piatto d’argento una vittoria propagandistica. Egli inoltre sosteneva che nel monastero c’erano civili ma non tedeschi che, tra l’altro, non facevano uso militare dell’edificio.
Gli errori di valutazione
Tra il 4 e il 14 febbraio, si perfezionò la pianificazione del bombardamento di Montecassino nell’ambito di una situazione in peggioramento ad Anzio, dove un’altra Dunkerque sembrava una possibilità reale. La tensione, le preoccupazioni e la fretta fecero commettere molti errori. Freyberg accolse in parte le intuizioni di Tucker, ma decise di continuare ad applicare le tattiche preesistenti e consolidate. Il comandante dei paracadutisti tedeschi, il maggiore Rudolf Bohmler, nel suo resoconto del bombardamento di Montecassino, ammise che una potenza di fuoco a tappeto, prima di un movimento di fiancheggiamento, così come proposto da Tucker, avrebbe potuto costare ai tedeschi la perdita di Cassino. Così, l’attacco manco di coordinazione tra le forze di terra e quelle aeree e gli uomini di Bohmler ebbero il tempo di occupare le macerie dell’abbazia, trasformandole in una posizione difensiva. L’attacco fu un fallimento.
Il bombardamento di Montecassino
Il cattivo tempo e le indecisioni tattiche rimandarono l’attacco all’abbazia di Montecassino al 15 febbraio. Nell’abbazia quel giorno, poco prima delle 5, il segretario dell’abate, don Martino, annotò nel suo diario l’arrivo di un ufficiale tedesco, il tenente Deiber, per avere un colloquio con l’abate Diamare. Quest’ultimo era preoccupato a causa di volantini lanciati dagli Alleati il pomeriggio precedente per avvertire dell’imminente attacco. I volantini riportavano le seguenti parole: “Dobbiamo puntare con riluttanza le nostre armi sul monastero stesso“. L’ufficiale tedesco rassicurò l’abate, sostenendo che i volantini avevano solo scopo intimidatorio e di propaganda. Ribadì inoltre di stare dentro al sicuro perché, se la popolazione rifugiata nel monastero fosse fuggita, sarebbe morta lungo la strada. Ma poco prima delle 9.45 arrivò dal cielo un impressionante schieramento di B-17 del 96° Gruppo di Bombardamento Alleato.
Il bombardamento di Montecassino sferrato nella mattina consistette in 257 tonnellate di bombe da 230 chili ognuna e 59 tonnellate di 100 bombe incendiarie. Nel pomeriggio furono sganciate altre 283 bombe, ciascuna del peso di 500 chili. Diplomatici e osservatori concordarono sul fatto che si trattò di un’impresa straordinaria di bombardamento di precisione. La descrizione più vivida del bombardamento di Montecassino fu quella fornita dal corrispondente di guerra Christopher Buckley: “Gli aerei volavano in perfetta formazione con quell’arrogante dignità che contraddistingue gli aerei da bombardamento. Poco prima delle due passò una formazione di Mitchell. Un attimo dopo una fiamma brillante, come quella che un gigante avrebbe potuto produrre accendendo fiammiferi titanici sul fianco della montagna, schizzò rapidamente verso l’alto. Per quasi cinque minuti rimase sospesa attorno all’edificio (…). L’Abbazia tornò visibile. Il suo intero profilo era cambiato. Il muro ovest era completamente crollato e l’intero lato dell’edificio, lungo un centinaio di metri, era semplicemente crollato. Era aperta agli aggressori“.
Terrore sotto le macerie
Il diario di don Martino testimoniò la ferocia e il dramma del bombardamento di Montecassino. La chiesa fu rasa al suolo nel primo bombardamento. Alle 11.15, durante una pausa nell’attacco, l’abate Diamare chiese di ispezionare i danni. I monaci trovarono persone in fuga che, terrorizzate, corsero nello spazio aperto davanti all’abbazia per cadere vittima del fuoco dell’artiglieria subito dopo. Mentre ispezionavano il chiostro, dalle macerie emersero tre famiglie che pregarono l’abate di lasciarli entrare nel suo rifugio. Verso mezzogiorno i bombardamenti ricominciarono. Per la seconda volta, i monaci e l’abate scesero nelle cripte per essere al sicuro. Don Martino ne uscì solo verso il tardo pomeriggio, quando scoprì che quattro monaci erano rimasti bloccati dalle macerie. Insieme aprirono un varco attraverso il quale i confratelli riuscirono a fuggire.
Successivamente, tutti i superstiti si riunirono presso la Cappella della Pietà, dove il tenente Deiber li trovò verso le otto di sera. Egli recapitò all’abate Diamare il messaggio secondo cui il Papa aveva chiesto una tregua agli americani in modo che i monaci potessero scappare. Deiber chiese all’abate di confermare per iscritto che nell’abbazia, al momento del bombardamento, non vi erano truppe tedesche. Il vecchio abate, stanco e ormai novantenne, firmò subito la dichiarazione sull’altare della Pietà. Non sappiamo di preciso quanti morirono tra i civili che in quel momento si trovavano a Montecassino. Alcuni resoconti parlano di centinaia. Ciò nonostante, le testimonianze dirette di coloro che si trovarono nel mezzo del bombardamento di Montecassino affermano che la maggior parte dei rifugiati sopravvisse. In ogni caso, non emersero mai trovate prove o corpi di vittime tedesche.
L’abate Gregorio Diamare e Don Martino
Dopo una notte insonne, all’alba del 16 febbraio, il resto dei civili rifugiati a Montecassino si diede alla fuga anche se nessuno pronunciò mai un ufficiale “cessate il fuoco”. Tutt’ora permangono dubbi se la richiesta sia mai stata avanzata o prevista. Il racconto di don Martino di quella giornata riporta anche la notizia del ritrovamento di tre bambini piccoli accanto alla madre morta e abbandonati dal padre. Il suo diario si conclude con la riflessione che l’uomo è senza speranza.
Alle 7.30 del 17 febbraio, dopo aver aspettato invano il ritorno del tenente Deiber, i sopravvissuti guidati dall’abate Gregorio Diamare, che portava un grande crocifisso di legno, si avviarono sulla cima della collina. Durante la discesa, una granata esplosa a soli due passi di distanza, ferì don Martino a un braccio. Alle 10 raggiunsero una abitazione dove attesero l’arrivo dei soccorsi che giunsero solo alle 16.30. Quella sera, il generale von Senger und Etterlin rivelò a Hitler che nessun soldato tedesco era morto nel bombardamento.
I tedeschi erano nell’abbazia al momento del bombardamento di Montecassino?
No, non c’erano tedeschi nell’abbazia quando avvenne il bombardamento di Montecassino. Lo stesso Winston Churchill lo affermò nelle sue memorie: “Il monastero non conteneva truppe tedesche, ma le fortificazioni nemiche non erano separate dall’edificio stesso“. Questa precisazione è importante ed è supportata da un prezioso documento, venuto alla luce solo molti anni dopo il bombardamento di Montecassino. Negli archivi vaticani si trova una nota di monsignor Tardini, datata 20 febbraio 1944, che riassume le informazioni che lo stesso abate diede al Papa sulla situazione a Montecassino, prima e dopo il bombardamento. In un passo del documento si trova scritto che: “all’interno dell’abbazia non ci furono mai soldati tedeschi, mitragliatrici, cannoni o posti di osservazione“.
Successivamente si può leggere l’affermazione che la situazione, però, era piuttosto diversa nelle immediate vicinanze del monastero benedettino. Infatti, i problemi erano sorti con l’ambigua definizione della cosiddetta zona neutrale di 300 metri attorno al sacro edificio. L’altitudine dell’abbazia faceva sì che, una postazione a 500 metri di distanza, potesse trovarsi quasi immediatamente sotto le sue mura. Inoltre, nel documento si affermava che, a poco a poco, le postazioni militari tedesche si avvicinarono sempre più all’edificio. Due carri armati operavano manovre vicino all’abbazia, soprattutto di notte, e sparavano contro le posizioni inglesi situate a nord della collina del monastero. Immediatamente sotto l’abbazia di Montecassino si allestì un posto di osservazione per lanciare segnali notturni per dirigere il fuoco dell’artiglieria tedesca verso le posizioni inglesi.
Le installazioni militari dei tedeschi
Infine, il documento vaticano precisa che: “Da una grotta che si estendeva proprio sotto l’abbazia si ottenne un deposito di munizioni. L’Abate non mancò di segnalare il pericolo che tali installazioni militari rappresentavano per l’Abbazia: ricevette vaghe promesse ma non se ne fece nulla“. Queste straordinarie rivelazioni confermano in gran parte l’affermazione degli Alleati, secondo cui l’abbazia di Montecassino era parte integrante del sistema difensivo tedesco. Alla luce di ciò si può anche comprendere perché i soldati alleati, coinvolti nella prima battaglia di Cassino, erano convinti che fosse occupata da soldati tedeschi. I segnali notturni sembravano provenire dall’abbazia stessa.
Ormai novantenne, anche don Martino Matronola, confermò il contenuto del documento vaticano. Egli non nutriva dubbi circa il fatto che i comandanti tedeschi, e in particolare von Senger, sapessero benissimo che l’incorporazione dell’abbazia di Montecassino nella Linea Gustav e che l’ordine di Hitler di difenderla fino allo stremo, ne avrebbero inevitabilmente segnato il destino. Ma don Martino aggiunse anche altre informazioni interessanti. Disse che i monaci erano consci del pericolo e che si aspettavano che Cassino cadesse durante il primo assalto. Per questo avevano preparato bandiere bianche per facilitare la loro resa. Inoltre, ricordò la presenza di più veicoli corazzati tedeschi nelle immediate vicinanze dell’abbazia, strategicamente posizionati per sparare verso le postazioni alleate.
Libri per approfondire
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