Home Personaggi Alessandro Manzoni – Vita e opere

Alessandro Manzoni – Vita e opere

alessandro manzoni
Wikimedia Commons

Alessandro Manzoni, uno degli autori più prestigiosi dell’Italia del XIX secolo, fu uno scrittore la cui opera ha lasciato un’impronta profonda non solo sulla letteratura italiana, ma anche sulla cultura nazionale.

Vita Alessandro Manzoni: infanzia e prima giovinezza

Alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1785, dal conte Pietro e da Giulia Beccaria, figlia di Cesare Beccaria, uno dei più prestigiosi esponenti dell’Illuminismo italiano. I genitori presto si separarono ed egli trascorse l’infanzia e la prima adolescenza in vari collegi religiosi, dove ricevette una educazione classica. Tuttavia, in questi ambienti, egli sviluppò una forte avversione per i metodi pedagogici e l’arida disciplina dei religiosi. A 16 anni lasciò il collegio. A quel tempo, il giovane Manzoni nutriva già idee razionaliste e libertarie. Grazie alle conoscenze della sua famiglia, fu facile inserirsi nell’ambiente culturale milanese del periodo napoleonico, dove frequentò poeti famosi come Foscolo e Monti. Egli iniziò a scrivere opere poetiche dallo stile classicista proprio dell’epoca e a condurre un’intensa vita mondana.

Nel 1805 lasciò Milano per raggiungere la madre a Parigi, dopo la morte del compagno della donna, Carlo Imbonati. A Parigi, Alessandro Manzoni si inserì nel cenacolo degli “ideologi”, un gruppo di intellettuali che aveva raccolto l’eredità dell’Illuminismo. Le sue idee filosofiche, politiche, letterarie e morali del giovane Manzoni furono notevolmente influenzate dallo spirito liberale e dal rigore morale di questi intellettuali. Tra essi, in particolare, Claude Fauriel divenne un punto di riferimento e i due intrapresero uno scambio epistolare che durò molti anni. Accanto agli “ideologi” vi era anche un gruppo di religiosi giansenisti che ebbero non poca influenza sulla conversione religiosa di Manzoni.

La vita adulta

alessandro manzoni
Wikimedia Commons

Manzoni fu sempre estremamente riservato circa la sua vita privata e le notizie sulla sua conversione religiosa sono scarse. Però, dovette essere determinante la conversione della sua giovane moglie, Enrichetta Blondel, che a Parigi iniziò a professare il calvinismo. Nel 1810, a 25 anni, Manzoni tornò definitivamente a Milano. I cambiamenti interiori avvenuti negli anni parigini si rivelarono ben presto nella sua attività letteraria. Egli abbandonò la poesia classicheggiante per comporre gli “Inni Sacri” (1812-1815), i primi testi di una lunga serie di opere nutrite da interessi storici e religiosi. In Italia, Manzoni condusse una vita sobria e appartata, dedicandosi allo studio, alla famiglia, alla religione. Nella sua casa si riunivano gli intellettuali del movimento romantico lombardo, ma egli non vi partecipò attivamente.

Alessandro Manzoni ebbe un medesimo atteggiamento anche nei confronti della politica. Nutriva sentimenti patriottici e unitari, osservò da lontano gli avvenimenti del ’20-’21 ma senza prendere posizione e fu pertanto risparmiato dalla dura repressione austriaca che ne seguì. Questo fu il periodo di massima produzione letteraria e dalla sua penna uscirono odi civili, tragedie, le prime due stesure del suo romanzo capolavoro. “I Promessi Sposi” fu pubblicato nel 1827 ma, da quel momento, Manzoni assunse un atteggiamento di distacco verso il genere del romanzo storico.

Manzoni come figura pubblica: la vecchiaia

alessandro manzoni vita e opere
Wikimedia Commons

Il successo del suo romanzo trasformò Manzoni in una figura pubblica di rilievo. Continuò a rifiutare la poesia e si avvicinò sempre più alla storia, alla filosofia e alla linguistica. Fino al 1840 lavorò alla terza redazione de “I Promessi Sposi” ma secondo intenti linguistici. In questi anni, il filosofo cattolico Antonio Rosmini divenne la sua guida spirituale, mentre, a livello privato, Manzoni fu colpito da una serie di lutti. Morirono la moglie, la madre e alcuni dei suoi numerosi figli, mentre con altri ebbe forti dissapori.

L’autore seguì con attenzione le Cinque Giornate del 1848 ma senza prenderne parte. Tuttavia, per l’occasione diede alle stampe l’ode patriottica “Marzo 1821”, tenuta nel cassetto per anni. Con la costituzione del Regno d’Italia nel 1860, egli fu nominato senatore. Durante la sua lunga vecchiaia, egli godé dell’ammirazione della borghesia e dell’opinione pubblica. Fu considerato un grande scrittore ma anche una guida intellettuale e morale. Alessandro Manzoni morì a Milano nel 1873. Seguirono solenni funerali a cui partecipò anche il principe Umberto di Savoia.

Alessandro Manzoni opere: la prima produzione letteraria

Come abbiamo visto, negli anni giovanili, Manzoni compose opere che rispondevano perfettamente allo stile allora in voga, quello classicheggiante, scritte con linguaggio aulico, abbondanza di figure retoriche, fitti rimandi e citazioni. Nel 1801 compose Il “Trionfo della libertà“, una “visione” allegorica in terzine che richiamava fortemente lo stile di Vincenzo Monti, il poeta più influente all’epoca. Anche a livello contenutistico, il poemetto è figlio del suo tempo: lo spirito libertario che incita alla Rivoluzione francese contro la tirannide è macchiato dalla amarezza prodotta dal tradimento degli ideali rivoluzionari a opera di Napoleone. Nel 1805, Manzoni scrisse “Carme in morte di Carlo Imbonati“.

Nel 1809, Manzoni compose il poemetto “Urania“, dove troviamo un tema caro alle opere di gusto classicheggiante: gli uomini primitivi che vengono civilizzati dalle Muse. Ma subito dopo, Manzoni iniziò a esprimere il suo distacco e il rifiuto dalla cultura classicistica. Egli apparve consapevole dell’esaurimento di quella vena poetica e sentì il bisogno di una letteratura nuova, dai nuovi temi e dal nuovo linguaggio. Manzoni non scrisse nulla per tre anni. Dopodiché compose gli “Inni Sacri” e il cambio di rotta apparve subito chiaro.

“Carme in morte di Carlo Imbonati”

Secondo uno schema classico ben consolidato, Manzoni immagina in sogno Imbonati, che egli considerava come un padre, intento a fornirgli lezioni di vita e di poesia. In questo carme, dalla delusione storica del giovane Manzoni nacque l’ideale del “giusto solitario” che si ritira di fronte al caos e all’incertezza della sua contemporaneità per rifugiarsi in sé stesso e dedicarsi al culto delle lettere.

Tuttavia, in “Carme in morte di Carlo Imbonati” si può ravvisare in germe l’orientamento del futuro Manzoni, la sua convinzione che la scrittura letteraria deve essere animata da sincerità e rigore morale. Successivamente, come vedremo, Manzoni concepirà infatti la poesia come falsa e non aderente al reale.

Opere dopo la conversione di Alessandro Manzoni

alessandro manzoni opere
Wikimedia Commons

La conversione religiosa di Alessandro Manzoni investì la sua vita totalmente e, quindi, anche la sua produzione letteraria. Egli ne diede testimonianza in “Osservazioni sulla morale cattolica” uno scritto del 1819 dove rispose alle tesi di Simonde de Sismondi, espresse in “Storia delle repubbliche italiane nel Medio Evo”, che additava la religione cattolica come la causa della corruzione del costume italiano. Manzoni rispose con una fiducia assoluta nella religione, vista come radice di tutto ciò che è buono e giusto. Con la conversione al cattolicesimo, cambiò anche la concezione della storia di Manzoni. Se il classicismo aveva considerato il mondo romano come l’origine della cultura moderna, Manzoni giunse a una posizione diametralmente opposta: quello della Roma antica era un popolo violento e oppressore, incurante del rispetto della vita umana. Manzoni rivalutò il Medioevo cristiano, da lui considerato il vero antecedente della civiltà moderna.

Il nuovo anticlassicismo nutrito da Manzoni lo portò a rinnegare la concezione eroica e aristocratica della storia che celebrava solo i vincitori e i potenti. Egli iniziò a interessarsi ai vinti e alla gente comune, generalmente esclusa dalla storia. Anche la concezione manzoniana della letteratura fu stravolta dalla conversione. Egli iniziò a trattare temi quali la caduta, il fallimento umano, il male radicato nella storia, il peccato. Da qui, scaturì una visione tragica del reale che non poteva più tollerare quella spensieratezza idilliaca del classicismo e il mondo fittizio della mitologia. La letteratura doveva ispirarsi al “vero” e alla condizione storica dell’uomo. Senza convenzioni artificiose, orpelli retorici, frivolo linguaggio aulico.

Gli Inni Sacri

Tutto ciò si rivelò a pieno nella stesura degli “Inni Sacri”, avvenuta tra il 1812 e il 1815. Essi rappresentarono una rottura ancor prima dello scoppio della diatriba tra il nuovo gruppo dei romantici milanesi e i conservatori classicisti. All’epoca, il modello poetico supremo era rappresentato da Monti e da Foscolo. I loro componimenti erano pregni del culto del mondo antico e della mitologia classica. Manzoni sentiva ormai quei temi come falsi e decise di rivolgersi a tematiche vive nella coscienza contemporanea che riflettevano il “vero”. Nacque una nuova poesia che non si rivolgeva più al circolo chiuso degli intellettuali ma che parlava alla gente comune.

L’autore si immaginò come il semplice interprete della coscienza cristiana, mentre il suo egocentrismo si annullava nella comunità di fedeli intenti a celebrare l’evento liturgico. Per questi motivi, Manzoni, nel comporre gli “Inni Sacri”, adottò metri dal ritmo snello e popolareggiante, un ritmo incalzante che riproduce il crescendo del fervore religioso dei fedeli riuniti. Il linguaggio divenne più semplice.

Contenuti degli Inni Sacri

Il progetto di Alessandro Manzoni comprendeva la scrittura di 12 inni dedicati alle principali festività dell’anno liturgico. Ne scrisse solo 4: la Resurrezione, il Natale, la Passione, il Nome di Maria. Il quinto inno, quello della Pentecoste, fu terminato solo nel 1822. Manzoni si basò sul modello offerto dall’antica innografia cristiana che comprendeva i Vangeli, i testi dei Padri della Chiesa e quelli degli oratori sacri francesi del Seicento.

I primi quattro inni mostrano uno schema fisso. Si enuncia il tema, segue la rievocazione dell’episodio centrale, infine si commentano le conseguenze dottrinali e morali dell’episodio. Invece, la Pentecoste si articola in modo differente. Scompaiono i motivi teologici e la narrazione dell’episodio per fare spazio ai cambiamenti portati dallo Spirito nella sua discesa nel mondo, invocando che questa discesa avvenga ancora una volta.

Marzo 1821 e Il Cinque Maggio

il cinque maggio
Wikimedia Commons

Anche le odi “Marzo 1821” e “Il Cinque Maggio” rappresentarono una rottura nella lirica patriottica e civile. La prima ode è dedicata ai moti del 1821 e alla speranza che l’esercito piemontese si riunisca agli insorti lombardi. La seconda è dedicata alla morte di Napoleone. In entrambi i casi, non c’è traccia del repertorio mitologico, dei riferimenti all’antichità e delle figure retoriche tanto cari alla poesia classicheggiante.

I fatti contemporanei sono interpretati alla luce della prospettiva religiosa. In “Marzo 1821”, Dio accorre in soccorso dei popoli che lottano per la loro indipendenza, perché l’oppressione è contraria alle sue leggi. “Il Cinque Maggio” narra l’alternanza di vittorie e sconfitte di Napoleone, la cui figura è valutata nella prospettiva dell’eternità.

Le tragedie

Anche la produzione manzoniana di tragedie si pose come elemento di rottura rispetto alla tradizione precedente. Le principali novità furono due. Da un lato la scelta della tragedia storica e dall’altro il rifiuto del modello aristotelico delle unità. Quando la tragedia classicheggiante trattava personaggi ed eventi storici lo faceva isolando l’azione dal tempo storico, senza alcun riferimento a tempi e luoghi concreti. Inoltre, essa seguiva pedissequamente le unità aristoteliche. Invece, Manzoni volle collocare i suoi personaggi in un contesto storico ben preciso e delineato con fedeltà.

Le tesi manzoniane sulla tragedia

Le teorie di Manzoni sulla tragedia sono espresse in “Lettre à M. Chauvet sur l’unité de temps et de lieu dans la tragédie“, un saggio del 1820 in cui Manzoni rispose a J. J. Chauvet che gli aveva mosso la critica di non aver osservato le unità. In quell’occasione, Manzoni affermò di non voler inventare fatti per adattarsi ai sentimenti, ma di voler spiegare tutto ciò che gli uomini hanno sentito e sofferto mediante ciò che essi hanno fatto.

Non c’è, dunque, bisogno di invenzione perché nella storia c’è già tutto ciò che gli uomini hanno fatto concretamente. Nella storia risiede il più ricco repertorio di soggetti ed eventi drammatici. Nella storia risiede il “vero” e l’aderenza al “vero della storia” non ha bisogno delle unità aristoteliche. Chiudere lo sviluppo di un’azione entro limiti stabiliti di tempo e di luogo porta ad esagerare le passioni dei personaggi, ed è qui che nasce il “falso” della tragedia classicistica, che non corrisponde al modo di agire degli uomini nella realtà.

Il Conte di Carmagnola

Il_conte_di_Carmagnola_Hayez
Wikimedia Commons

Molte delle idee di Manzoni circa il genere tragico erano già contenute nella prefazione de “Il conte di Carmagnola“. Scritta tra il 1816 e il 1820, questa tragedia narra la vicenda del capitano di ventura, vissuto nel Quattrocento, Francesco Bussone. Egli ottenne molte vittorie al servizio del duca di Milano, ne sposò la figlia per poi passare al servizio di Venezia, facendole clamorosamente vincere nella battaglia di Maclodio contro Milano. I veneziani però sospettarono un suo tradimento, a causa di certi benevoli atteggiamenti mostrati dal Bussone verso i prigionieri milanesi. Lo attirarono a Venezia con un pretesto, lo fecero prigioniero e lo condannarono a morte.

Convinto dell’innocenza del Bussone, Manzoni, attraverso la sua figura, esplora il conflitto tra l’uomo di animo buono e leale e la ragion di Stato. La tragedia, dunque, è imperniata su un tema centrale dell’ideologia manzoniana: la storia umana come trionfo del male, a cui si contrappongono uomini puri, irrimediabilmente destinati alla sconfitta.

Adelchi

Lo stesso conflitto è al centro della tragedia del 1822, “Adelchi“, che rispetto all’opera precedente mostra una forza drammatica ben più evidente. Il componimento narra la disfatta del regno longobardo in Italia nell’VIII secolo, avvenuta per opera dei Franchi di Carlo Magno.

La trama

La principessa longobarda Ermengarda, figlia del re Desiderio e moglie di Carlo Magno, re dei Franchi, viene ripudiata da quest’ultimo per ragioni politiche. Per vendicarsi, Desiderio costringe il Papa Adriano a incoronare re dei Franchi i figli di Carlomanno, fratello già defunto di Carlo Magno, rifugiatisi presso di lui alla morte del padre. A Desiderio giunge l’ordine di Carlo Magno di restituire le terre sottratte al papa, ma egli rifiuta e scoppia la guerra. Tuttavia, i Duchi longobardi tradiscono Desiderio e si schierano con Carlo. Adelchi non riesce a opporsi ai Franchi e l’esercito longobardo è in rotta.

Nel frattempo, Ermengarda si è rifugiata in un convento a Brescia ma, alla notizia delle nuove nozze di Carlo, muore dal dolore. Il soldato traditore Svarto fa entrare i Franchi a Pavia, la capitale del regno longobardo. Adelchi resiste nei pressi di Verona, ma Desiderio è fatto prigioniero. Anche Verona cade e Adelchi è in fin di vita. Con le sue ultime parole chiede al vincitore di essere magnanimo verso il padre anziano e muore cristianamente.

Analisi dell’Adelchi

Adelchi
Wikimedia Commons

La tragedia ruota sulle vicende di quattro personaggi protagonisti. Desiderio è animato dal volersi vendicare di Carlo e da l’ambizione di conquista; Adelchi, suo figlio, sogna la gloria in nobili imprese, ma non riesce a realizzarle in un mondo dominato dalla forza e dall’ingiustizia. Ermengarda vorrebbe distaccarsi dalle passioni del mondo, ma muore di dolore per il marito; Carlo Magno sopprime i sensi di colpa in nome della ragion di Stato e presentandosi come il “campione di Dio”. Dunque, vi è una netta contrapposizione tra personaggi politici, Desiderio e Carlo Magno, animati dalla ragion di Stato e dalla sete di potere, e i personaggi “ideali”, Adelchi ed Ermengarda, puri e nobili d’animo ma destinati alla sconfitta in un mondo brutale.

La novità introdotta da Manzoni in questa opera è il coro. Il coro manzoniano è, però, diverso da quello della tragedia greca che rappresentava la personificazione dei pensieri e dei sentimenti ispirati dall’azione. Il coro è qui invece il portavoce della visione di Manzoni, un escamotage letterario attraverso il quale lo scrittore può esprimere le proprie reazioni suscitate dalla tragedia. Ciò ha consentito all’autore di presentare opere oggettivamente tragiche, senza la mediazione della sua visione soggettiva dei sentimenti e degli eventi narrati.

I Promessi Sposi

Per un’analisi de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni vi rimando all’articolo dedicato.

La questione della lingua

“I Promessi Sposi” svolsero un’opera dalla portata incalcolabile anche nel campo della linguistica, fornendo un nuovo modello di lingua letteraria, libero dalla retorica, e che si poneva anche come modello linguistico per la società della futura Italia unita. Manzoni ambiva a rivolgersi a un pubblico più vasto e a trattare temi vivi nella coscienza contemporanea, pertanto il rinnovamento del linguaggio divenne una necessità. Iniziando la stesura di “Fermo e Lucia“, egli si rese conto della difficoltà di adottare un nuovo linguaggio e si orientò verso una lingua di compromesso, un misto tra il toscano letterario, la parlata viva e richiami al francese. Ma già dopo il 1824 egli mise mano al testo a favore esclusivo del toscano. Giunse così alla soluzione del problema della lingua: la lingua italiana unitaria, da usare nella letteratura e nella vita quotidiana, doveva essere il fiorentino delle persone colte perché viva, parlata e attuale.

La soluzione manzoniana fu accolta favorevolmente dalla classe politica dell’Italia unita. Il ministro della Istruzione, Emilio Broglio, affidò a Manzoni la presidenza di una commissione con il compito di diffondere la buona lingua presso il popolo. Manzoni presentò una relazione nel 1868 con la proposta di diffondere la lingua fiorentina tramite un vocabolario e l’aiuto di maestri fiorentini nelle scuole elementari. La proposta fu seguita dallo Stato, anche se la lingua che oggi parliamo si formò attraverso processi più lunghi e complessi, fino a differire dal mero fiorentino.

Le opere dopo I Promessi Sposi

“I Promessi Sposi”, pubblicati nel 1827, segnarono la fine della produzione creativa di Manzoni. Fino al 1840, egli fu impegnato nella revisione linguistica dell’opera, secondo la tesi appena vista del fiorentino. Ma in privato, Manzoni sembrò assumere un atteggiamento quasi sprezzante nei confronti del suo capolavoro. Questo sentimento fu chiarito dall’autore in varie occasioni. Ciò che egli criticava era la struttura del romanzo storico che mescolava storia e finzione, introducendovi un elemento di falsità che non rispondeva alle necessità dell’uomo moderno e del lettore. Il suo culto del “vero” divenne talmente rigido da orientarlo verso la storia pura e la filosofia, a discapito della letteratura. Per tali motivi, Manzoni non scrisse più opere narrative e, dal 1827 fino alla sua morte, avvenuta nel 1873, egli compose solo opere di saggistica.

Come appendice dei “Promessi Sposi” del 1840, Manzoni scrisse “Storia della Colonna Infame”, dove riscostruì il processo a due presunti untori durante la peste di Milano del 1830, narrata nel suo capolavoro. Un’altra opera storica fu “La Rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859“, un saggio storico comparativo iniziato nel 1862 e rimasto incompiuto. Il Manzoni dell’età matura fu fortemente influenzato, come abbiamo visto, dal pensiero e dall’opera di Antonio Rosmini, a cui egli si ispirò nel dialogo “Dell’invenzione” del 1850. Per quasi 42 lunghi anni, Manzoni fu impegnato dalla questione linguistica e scrisse l’opera “Della lingua italiana“, anch’essa rimasta incompiuta.

Libri per approfondire

La famiglia Manzoni di Natalia Ginzburg

Alessandro Manzoni vita e opere immagini

Manzoni mappe concettuali

alessandro manzoni schema
AI
alessandro manzoni mappa concettuale
AI
mappa concettuale alessandro manzoni
AI
schema manzoni vita e opere
ShowMe
schema manzoni opere
ShowMe