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Le prime esplorazioni: l’Europa agli albori della conquista del mondo

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L’Europa agli albori della conquista del mondo: le prime esplorazioni rappresentano un periodo cruciale e affascinante nella storia dell’uomo europeo. Quest’epoca, che ha avuto il suo apice tra il XV e il XVII secolo, segna l’inizio dell’espansione europea oltre i confini del Vecchio Continente, un fenomeno che ha avuto un impatto profondo e duraturo su scala globale.

Le prime esplorazioni

Potenze europee come la Spagna, il Portogallo, l’Inghilterra, la Francia e i Paesi Bassi intrapresero viaggi audaci attraverso mari sconosciuti e territori inesplorati. Tra curiosità dell’ignoto, ambizione economica, spirito avventuroso e, spesso, motivazioni religiose, i primi esploratori hanno lasciato il segno nella storia mondiale.

Gli inizi di questa era sono spesso associati alle figure di Cristoforo Colombo, che nel 1492 attraversò l’Atlantico e raggiunse ciò che credeva fossero le Indie, e di Vasco da Gama, che nel 1498 trovò la rotta marittima verso l’India circumnavigando il Capo di Buona Speranza. Queste scoperte non solo aprirono nuove rotte commerciali e iniziarono lo scambio di merci, culture e popolazioni, ma segnarono anche l’inizio di un periodo di colonizzazione e sfruttamento.

Il Nuovo Mondo

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Nel tardo Medioevo, il Nuovo Mondo era un concetto per rappresentare uno spazio sconosciuto, ma sul quale gli europei proiettavano la propria fantasia, tramite un immaginario geografico composto da miti e leggende. Nell’Atlante catalano del 1375, che rappresenta la mappa più importante dell’epoca medioevale, questo mondo immaginato appariva popolato da uomini nudi e selvaggi che si cibavano di pesci e sirene. Inoltre, in esso l’Anticristo compariva nell’atto di predicare. Si trattava di un simbolo per esprimere il tentativo di armonizzare la Bibbia e la geografia.

Nella Cosmografia di Tolomeo (1482) l’Asia è rappresentata fino ai margini della carta. Le dimensioni del Catai e Cipago (Cina e Giappone) sono labili e al centro figura il regno di Prete Gianni. Nell’immaginario collettivo quelle terre erano meravigliose e ricche. Oltre le colonne d’Ercole, si trovava certamente la leggendaria Atlantide, parte di un mondo ignoto.

I “barbari” e il pensiero cristiano

Accanto, compare il mondo reale ma ancora indefinito dell’Africa, terre di selvaggi, di piante e animali strani e insoliti. Qui si trovano “i barbari”. Fin dall’antichità con questo termine si era soliti indicare quelle razze che vivevano senza leggi, senza arti e senza mestieri. Successivamente, il concetto sarà assorbito dal Cristianesimo tramite Cicerone e Agostino. Con questi autori, infatti, il termine passò a designare la distanza esistente tra cristiani e non cristiani.

Vi era dunque un “noi”, cristiano, e un “altro”. Ecco che nel VI secolo per barbari si intende i pagani, coloro che non agiscono secondo la religione. Nulla è definitivo e allora ecco che nel Medioevo compare la possibilità di assimilare l’”altro” attraverso il battesimo. Il pensiero cristiano opera, dunque, quella distinzione tra l’uomo civile e i popoli barbarici che vivono in luoghi lontani e che costituiscono una minaccia per l’ordine sociale precostituito.

L’immaginario europeo spinge le prime esplorazioni

Questi uomini e quasi animali diventano il nuovo orizzonte della fantasia degli Europei. Gli uomini e la natura del Nuovo Mondo entrarono nell’immaginario europeo secondo quanto fu trasmesso dai resoconti di Cristoforo Colombo. Egli, di fatto, “inventa” un’America paradisiaca, in cui è semplice collocare i miti dell’età dell’oro, della Terra Promessa, delle Isola Fortunate e tutti quei tempi e luoghi immaginari forieri di ricchezze, possibilità e riscatto.

L’idealità va di pari passo con la diversità. Uomini, piante e animali di un mondo lontano dall’Europa diventano oggetto di meraviglia. L’uomo europeo inizia a classificare e definire tali diversità per uniformarle alla cultura occidentale e alla sua visione del mondo. Il tutto avviene secondo la scala dei valori del mondo civilizzato che non può comprendere il selvaggio e la barbarie.

L’”altro” e gli stereotipi

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Le popolazioni del Nuovo Mondo vengono descritte dal punto di vista etnografico secondo gli stereotipi vigenti all’epoca. L’”altro” deve possedere quelle qualità, negative, che servono ad affermare la superiorità positiva dell’uomo europeo e, quindi, a giustificare la conquista violenta.

Il selvaggio non è portatore di valori differenti, bensì dell’assenza o della negazione di valori. I nativi sono allora raffigurati nudi e pudici quando si vuole celebrare l’innocenza dello stato di natura. Ma diventano lascivi e bestiali quando si vuole sottolineare la loro inferiorità e la necessità di conquistarli.

I primi viaggi di esplorazione

Le prime esplorazioni avvennero per opera dei Portoghesi e Spagnoli. Sancirono il passaggio dal Medioevo all’età moderna. Per la prima volta gli Europei si lanciarono alla conquista di nuovi e sconosciuti mondi, grazie alla collaborazione tra banchieri genovesi e il re del Portogallo. La prima espansione lungo le coste dell’Africa culminò, nel 1415, con la conquista di Ceuta grazie a Enrico il Navigatore.

Tra il 1418 e il 1427 i Portoghesi conquistarono le Azzorre e Capo Bojador. Tra il 1482 e il 1484 Diego Cão arrivò alla foce del Congo, mentre nel 1487 Bartolomeo Diaz doppiò il Capo di Buona Speranza. Nel 1497 fu la volta di Vasco da Gama che doppiò il Capo di Buona Speranza e giunse sulle coste orientali dell’Africa. Da qui ripartì verso l’India per arrivare a Calicut nel 1498. Approderà l’anno successivo a Lisbona con due navi cariche di spezie. La nuova via per le Indie era dunque aperta.

L’impero coloniale portoghese

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Pedro Alvarez Cabral nel 1500 approdò sulle coste del Brasile. Dunque, agli inizi del Cinquecento, il Portogallo aveva già posto le basi del suo impero coloniale. I portoghesi fondarono colonie nel golfo Persico, nelle città di Goa e Calicut in India, a Ceylon, nella penisola di Malacca, nelle Molucche, nell’isola di Macao.

L’impero portoghese conquistò i suoi possedimenti più importanti e redditizi in Asia. Preziose erano anche le sue colonie lungo la costa del Brasile, in quanto consentirono di avviare il fruttuoso commercio dello zucchero.

L’impero spagnolo

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Dopo le prime esplorazioni di Colombo e dopo che Spagna e Portogallo segnarono il confine delle loro sfere di influenza con il Trattato di Tordesillas (1494), i sivigliani iniziarono a finanziare viaggi nelle Americhe. In tali viaggi i partecipanti beneficiavano dei guadagni ottenuti in proporzione al capitale da loro investito. Nel 1500 Vicente Yàñez Pinzòn arrivò fino alla foce del Rio delle Amazzoni. Due anni dopo Amerigo Vespucci giunse nella laguna venezuelana di Maracaibo. Nel 1508 furono scoperte le coste della Colombia e di Panama. Nel 1513 Vasco Nùñez de Balboa attraversò l’istmo di Panama e giunse di fronte all’Oceano Pacifico, che egli battezzò “il mare del Sud”. Nello stesso anno si arrivò a toccare le coste della Florida, mentre nel 1518 partirono due spedizioni da Cuba verso il Messico, stabilendo il primo contatto con i Maya.

L’anno successivo fu Hernàn Cortés che, partendo da Cuba, giunse in Messico causando il crollo dell’Impero Azteco. Nel 1529 gli spagnoli penetrarono nel Messico centrale. Nel 1530 Francisco Pizarro, partendo da Panama, in due anni conquistò l’impero degli Incas. Da qui, gli spagnoli giunsero in Cile, dove Pedro de Valdivia fondò la città di Santiago de Nueva Estremadura nel 1541. Nel 1540 gli Spagnoli giunsero nello stretto di Magellano ed esplorarono la costa atlantica dell’Argentina. Le prime esplorazioni in queste terre arrivarono a Rio de la Plata, nelle grandi pianure dell’America Settentrionale, in Florida e fino all’Oklahoma.

Gli altri imperi coloniali

Meno eclatanti, perché dotati di minori risorse finanziarie, le spedizioni allestite da inglesi e francesi nel Nuovo Mondo. Per gli inglesi partirono i veneziani Giovanni e Sebastiano Caboto alla volta dell’America settentrionale. Essi toccarono le coste del Labrador (1497), della Groenlandia (1498) per arrivare fino alla baia di Hudson (1500). Per i francesi partì il toscano Giovanni da Verrazzano che, nel 1524, approdò nella Carolina del Sud. Dalla Florida, giunse poi fino al Massachusetts. Nel 1528 egli arrivò nel Mar delle Antille dove trovò la morte per mano degli indigeni.

Nel 1534 Jacques Cartier, dall’isola di Terranova, si spinse fino all’estuario del fiume San Lorenzo per scovare il “passaggio a nord-ovest” tra Atlantico e Pacifico. Esso doveva servire a bypassare le rotte sotto il controllo degli imperi iberici. Nel 1555 i francesi fondarono un insediamento su un’isola della baia di Rio de Janeiro che, poco dopo, sarà distrutto dai portoghesi. Stessa sorte toccò anche alle colonie francesi appena fondate in Florida.

I vinti

Durante le prime esplorazioni, Portoghesi e Spagnoli inaugurarono anche per i vinti una nuova era, quella del “saccheggio“. Il primo periodo di conquista provoca un gravissimo crollo demografico. In molte aree, la popolazione è annientata nel giro di una generazione. In Messico si passa da 25 a 11 milioni di abitanti. Oltre alla guerra, malattie portate dall’Europa mietono uomini, donne e bambini il cui sistema immunitario non è equipaggiato per farvi fronte. Il lavoro forzato, l’introduzione di nuovi sistemi sociali, la destrutturazione delle cultura indigene completano l’opera. Nell’altopiano andino si passa da una popolazione di 10 milioni di unità nel 1530 a soli due milioni appena 30 anni dopo.

Le cronache spagnole rendono conto della catastrofe provocata dalla conquista degli Europei. Tenochtitlan (Città del Messico) è un’infernale Babele, un mostro urbano cresciuto troppo in fretta e male, dove conquistatori e conquistati vivono forzatamente assieme a schiavi neri africani. Le conseguenze per l’orizzonte mentale, economico e sociale degli indigeni sono devastanti. Tutto viene spazzato via: arriva il Cristianesimo, la scrittura alfabetica, il lavoro forzato nelle miniere e in agricoltura, le tasse da pagare. Tutto ciò sconvolge le economie, gli usi e i costumi degli indigeni.

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Video prime esplorazioni degli Europei