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Primi decenni dell’Ottocento: le dirompenti trasformazioni in Europa

primi decenni dell'ottocento
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I primi decenni dell’Ottocento furono segnati da grandi trasformazioni dal carattere irreversibile. Il Congresso di Vienna, a seguito delle guerre napoleoniche, cercò di ristabilire il vecchio ordine in Europa, ma le forze del cambiamento erano già in atto. La Rivoluzione Industriale, con l’avvento delle macchine a vapore e la nascita delle fabbriche, sconvolse i ritmi della vita e le relazioni sociali. Parallelamente, si diffusero ideali liberali e nazionalistici, che alimentarono nuove aspirazioni e tensioni. In questo contesto, la società europea visse una profonda mutazione, segnata da progressi tecnologici, fermenti politici e sociali, e da una crescente consapevolezza della propria identità nazionale.

Primi decenni dell’Ottocento: trasformazioni e nuove necessità

I rappresentanti delle grandi potenze si riunirono a Vienna dal 1 novembre 1814 al 9 giugno 1815 nel tentativo di ripristinare l’ordine tradizionale e ridisegnare l’Europa dal punto di vista geopolitico. Infatti, dopo gli stravolgimenti della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche, il Vecchio Continente non poteva più essere lo stesso. La Rivoluzione francese aveva promosso l’irruzione nella vita politica e sociale europea di nuove forze come il Terzo Stato e il nascente proletariato. Le masse avevano fatto la loro comparsa nella storia. Le guerre napoleoniche avevano reso evidente la necessità di rendere più moderni gli eserciti, di rinnovare le strutture militari e di favorire lo sviluppo industriale, ormai essenziale al reparto bellico.

Mai nei primi decenni dell’Ottocento, l’Europa era cambiata anche dal punto di vista territoriale e sociale in modo definitivo. La “razionalizzazione delle frontiere”, promossa da Napoleone soprattutto in area tedesca, aveva fatto sparire un gran numero di piccoli Stati di origine feudale. La “rivoluzione giuridica” operata dal Code Napoléon aveva causato una profonda trasformazione nei rapporti di proprietà, non più così favorevoli all’aristocrazia. Con la confisca e la vendita delle proprietà della chiesa e la fine del sistema feudale il numero dei proprietari terrieri era aumentato enormemente.

Il Congresso di Vienna in breve

Congresso di Vienna
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Dell’impossibilità di cancellare queste innovazioni e le loro conseguenze, come se dopo il 1789 nulla fosse accaduto, erano ben consapevoli gli stessi rappresentanti delle potenze europee vincitrici, riuniti a Vienna. Eppure, essi erano fermamente intenzionati nel fermare quel progresso e quei cambiamenti in atto per restaurare un ordine il più simile possibile a quello dell’Ancien Régime. Ne uscì un’Europa ridisegnata in base alla necessità di impedire che in Francia potesse sorgere nuovamente qualsiasi tipo di ambizione rivoluzionaria.

Si procedette, dunque, al ridimensionamento della potenza sconfitta, senza tuttavia umiliarla troppo, per scongiurare rigurgiti nazionalistici. Inoltre, si cercò di dar vita a un sistema di Stati in assoluto equilibrio per evitare qualsiasi rischio di conflitto e di impeto rivoluzionario. A tal fine fu creato anche un elaborato sistema di alleanze (Santa alleanza e Quadruplice alleanza) e si fissò un fitto calendario di congressi per portare avanti il lavoro iniziato a Vienna.

La Restaurazione

Con il termine Restaurazione si intende il tentativo di ristabilire il potere assoluto dei sovrani europei e di ritornare all’Ancien Régime precedente la Rivoluzione francese e l’epoca di Napoleone. All’interno dei singoli Stati si procedette a consegnare il potere ai sovrani assoluti e alla classe aristocratico-terriera, quella più conservatrice e legata al passato.

La Restaurazione si espresse anche sul piano ideologico, con la riaffermazione del principio di legittimità che fondava la sovranità sul diritto naturale acquisito dinasticamente. Tale diritto faceva derivare il potere del re direttamente dall’autorità divina. Tutti questi indirizzi operativi stabiliti durante il Congresso di Vienna, però, si scontravano con le nuove tendenze economiche di un’Europa in pieno fermento nei primi decenni dell’Ottocento.

La Rivoluzione industriale

rivoluzione industriale
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La Rivoluzione industriale fu un processo di cambiamento epocale che partì dall’Inghilterra nella seconda metà del Settecento, si diffuse nel resto nel resto dell’Europa fino ad arrivare alla costa atlantica degli Stati Uniti nei primi decenni dell’Ottocento. Tale processo economico e sociale trasformò rapidamente e in modo irreversibile le potenze europee. L’asse Londra – Parigi divenne il centro propulsivo dello sviluppo continentale, provocando l’arretramento e una situazione stagnante nelle antiche potenze centrali dell’Europa.

Inghilterra e Francia diventarono nazioni moderne, dotate di un’economia sempre più incentrata sul mercato e un’industria in crescita vertiginosa. Il potere economico dell’impero asburgico, con il suo sistema arretrato, ne uscì fortemente ridimensionato, mentre la Russia, ancora alle prese con un’economia di tipo feudale, restava ai margini a guardare.

I cambiamenti operati dalla Rivoluzione industriale

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Le trasformazioni economiche della Rivoluzione industriale furono accompagnate da grandi cambiamenti a livello sociale e politico all’interno dei singoli Stati. In forma dirompente in Inghilterra, più gradualmente altrove, iniziò un progressivo esodo di masse di uomini dalle campagne alla città. questo fenomeno fu favorito dall’aumento della popolazione e dalla maggiore produttività agricola. La fine del sistema feudale significò la liberazione dei contadini che, grazie a una sempre più fitta rete di comunicazioni e di infrastrutture, iniziarono a muoversi e a spostarsi al pari delle merci, circolando in aree sempre più ampie.

Venne a crearsi quel fenomeno del tutto moderno della “grande città”, la metropoli. dove l’innovazione politica, culturale e sociale procedeva a ritmi vertiginosi. Basta pensare alla nascita dell’opinione pubblica, al nuovo ruolo degli intellettuali, ai nuovi movimenti politici liberali, democratici e socialisti. Si trattò di fenomeni nati nei primi decenni dell’Ottocento in ambito prettamente urbano e cittadino. E l’intera struttura di potere ne fu profondamente scossa.

La nascita delle grandi città nei primi decenni dell’Ottocento

Nei primi decenni dell’Ottocento, le città europee cambiarono volto perché subirono in contemporanea due nuove fenomeni. Il massiccio confluire in esse di manodopera dalle campagne e l’ampliarsi delle attività industriali e commerciali. L’esodo dalle campagne e lo sviluppo dell’urbanizzazione cambiarono l’aspetto di intere regioni.

Questo processo fu rapidissimo in Inghilterra, dove, già nel 1850, la popolazione delle città ammontava al 50% della popolazione totale. Profondi e irreversibili furono i cambiamenti nel tessuto urbano. Ma le città non si rivelarono pronte a sostenere e accogliere il rapido processo di urbanizzazione. In esse le condizioni di vita erano molto precarie. Non esistevano servizi, nemmeno quelli più elementari come la rete fognaria e acquedotti bastevoli per tutta la nuova, grande massa di uomini.

La qualità della vita nelle città industriali

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Le conseguenze della Rivoluzione industriale sull’ambiente e il vivere quotidiano, le atmosfere umide e fumose delle prime città industriali affascinarono intellettuali e scrittori. Il poeta tedesco Heinrich Heine ci ha lasciato il resoconto di un viaggio nella Londra del 1828:

“Mi ero proposto di non meravigliarmi della grandiosità di Londra, di cui avevo sentito tanto parlare…Solo, io mi attendevo grandi palazzi, e non vidi che casupole. Ma è appunto la loro uniformità e il loro numero incalcolabile, che lasciano un’impressione così grandiosa. Per effetto dell’aria umida e del vapore di carbone, queste case di mattoni prendono un colore uniforme di un oliva brunastro; sono tutte della stessa architettura, con due o tre finestre in larghezza e tre in altezza, cosicché le ampie vie tirate a piombo non sembrano che due lunghe case senza fine a forma di caserme“. Se ne deduce facilmente una frustrante sensazione di monotonia.

Macchine e industrie

Fu l’utilizzo della macchina a vapore a consentire alle fabbriche di concentrarsi nelle città. Prima esse erano sparse nelle campagne e si servivano dell’energia idraulica fornita dai corsi d’acqua. La nuova organizzazione del lavoro e le innovazioni tecnologiche si applicarono dapprima all’industria tessile, per poi diffondersi in tutti i settori della produzione. I risultati furono rapidissimi progressi nella meccanizzazione e nella produzione in serie.

L’epoca dell’industrializzazione fu anche quella delle grandi invenzioni. Al 1769 risale il filatoio continuo a cilindri di Arkwright, la macchina a vapore di Watt è del 1780, la locomotiva a vapore di Stephenson è del 1814, il maglio a vapore di Nasmyth del 1839. Queste grandi invenzioni non furono il frutto di ricerche di scienziati chiusi nei loro laboratori, ma la risposta a problemi pratici, nate sul campo concreto del mondo della produzione per ottenere una maggiore produttività e massima efficienza. Spesso gli inventori erano gli industriali stessi.

Verso la sovranità popolare

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Di fronte a questi cambiamenti epocali, sul piano sociale e politico, le vecchie classi dominanti, l’aristocrazia terriera in primis, erano l’espressione di una società prevalentemente rurale e furono insidiate dalle nuove classi sociali urbane: la borghesia e il proletariato. Sul piano ideologico, il principio dinastico fu surclassato dal nuovo principio della sovranità popolare.

Infatti, il principio dinastico aveva funzionato in una società statica e in cui gli uomini erano legati alla terra. Ma la nuova società che si formò nei primi decenni dell’Ottocento, al contrario, fu caratterizzata dal valore della libertà individuale di ognuno. Il potere fu fondato sul consenso di tutto il popolo, cioè sulla sovranità popolare. Questo principio minò alle fondamenta tutto il sistema costruito durante il Congresso di Vienna.

Il fragile “sistema di Vienna”

D’altronde le crepe di quel sistema si erano manifestate presto. Già nel 1820 una serie di moti rivoluzionari attraversarono le periferie europee: la Spagna, il Portogallo, il Regno delle Due Sicilie e il Piemonte, la Grecia e la Russia. Si trattò di iniziative promosse da piccole élites, quasi sempre organizzate in sette segrete o piccoli gruppi paramilitari. Nel 1830 una nuova ondata rivoluzionaria scosse l’Europa, questa volta nel cuore delle aree centrali. In Francia, la “rivoluzione di luglio” cacciò il re reazionario Carlo X e lo sostituì con Luigi Filippo d’Orléans, detto il “re borghese”, che diede vita a una monarchia corrotta ma liberale. Le conseguenze si fecero subito sentire in Belgio, Svizzera, Polonia e Italia dove si verificarono tentativi rivoluzionari nei ducati di Modena e Parma e nello Stato pontificio.

L’affermazione del liberalismo contro l’assolutismo nei Stati economicamente più avanzati e moderni e la tendenza all’unità e all’indipendenza nazionale in Paesi come l’Italia, costituivano ormai nuovi e dirompenti fattori che non potevano più essere ignorati. A ciò si aggiunse la profonda trasformazione dei rapporti tra l’Europa e il resto del mondo. In primis, con gli Stati Uniti d’America che, nell'”era di Jackson”, conobbero una crescita economica fortissima. Ma anche con l’Asia e l’Africa, dove il colonialismo vecchio stampo lasciava il posto a nuove forme di sfruttamento commerciale.

Primi decenni dell’Ottocento immagini

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Restaurazione mappe concettuali

Restaurazione mappe concettuali
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