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Le corporazioni di Venezia: uno straordinario caso di dinamismo e flessibilità

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Le corporazioni commerciali di Venezia erano organizzazioni caratterizzate da uno straordinario potere politico ed economico nel quadro sociale della città patrizia rinascimentale. Analizziamo la storia e i numerosi significati di uno straordinario caso di dinamismo nella vita politica di Venezia.

Le corporazioni commerciali

Le corporazioni avevano il compito di proteggere coloro che praticavano un mestiere, per mantenere alti i livelli qualitativi di quel mestiere ed esprimere la solidarietà dei membri attraverso il sostegno agli associati e alle loro famiglie. Tali organizzazioni divennero sempre più diffuse nel XIII secolo, configurandosi come il prodotto della crescita economica di quel periodo. Nel XVI secolo, tuttavia, il loro esclusivismo e le tendenze monopolistiche mal si adattavano alla crescita di un’economia in espansione. Per questo, in Inghilterra le corporazioni iniziarono a scomparire entro la fine del XVII secolo. Altrove, soprattutto in Francia, la loro esistenza fu mantenuta in vita artificialmente da governi che ritenevano le corporazioni convenienti per scopi fiscali.

Apparentemente, le corporazioni di Venezia sembravano rappresentare un’economica chiusa e una debolezza politica. La forza economica della città derivava dall’impresa commerciale esercitata nei mercati d’oltremare dai patrizi. Le corporazioni artigiane cittadine non avevano alcun ruolo in questo settore della vita economica: i mercanti di Venezia non erano soliti formare corporazioni come altrove poiché i loro interessi economici erano tutelati dalle istituzioni governative cittadine, controllate dai mercanti stessi.

Il patriziato veneziano

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A Venezia, il patriziato aveva saldamente nelle mani la vita politica ed economica della città. La costituzione veneziana garantiva il predominio di un’oligarchia ben definita, la cui composizione era stata rigorosamente regolata già alla fine del XIII secolo. Da quel momento in poi, solo i membri di alcune e selezionate famiglie potevano ricoprire cariche ed essere membri del maggior consiglio e del senato. Solo quegli esponenti potevano diventare magistrati ed eleggere il Doge.

La costituzione veneziana escludeva il popolo dalla partecipazione politica. I cittadini comuni potevano dar vita alle gilde, associazioni di mutua assistenza a carattere religioso, mercantile e artigiano. E tanto bastava, perché a Venezia non si registrarono rivolte popolari alimentate dall’esclusione dalla vita politica.

Il popolo di Venezia

Questa notevole stabilità, che durò almeno cinquecento anni, fu solamente opera del sapiente governo dei patrizi? Nella seconda metà del Cinquecento la popolazione di Venezia contava circa 150.000 abitanti, di cui solo 2.000 avevano il diritto a ricoprire cariche governative. Il resto era costituito soprattutto dagli artigiani. Ci si potrebbe aspettare che ad un certo punto, in un periodo lungo cinquecento anni, gli alti prezzi dei prodotti alimentari o le guerre avrebbero spinto alcuni membri delle corporazioni alla rivolta o alla ribellione, eppure non fu così. Le corporazioni, che ebbero grande nomea a Firenze, rimasero per lungo tempo ai margini della storia veneziana.

All’inizio del XVII secolo, in città esistevano circa 120 corporazioni che ricoprivano una vastissima serie di attività commerciali nei cantieri navali, nell’industria tessile, dell’edilizia e, soprattutto, nella vendita al dettaglio, un settore in continua espansione. È difficile ignorare del tutto un numero così elevato di persone impegnate in una parte così consistente della vita economica di una città. Infatti, analizzando più a fondo possiamo scoprire che le corporazioni di Venezia svolsero un ruolo più positivo e attivo di quanto si è soliti ritenere.

La natura delle corporazioni veneziane

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Dal XIII secolo, la posizione politica della corporazioni di Venezia era subordinata. Nel resto dell’Italia settentrionale, il popolo delle corporazioni chiese, e spesso ottenne, il riconoscimento politico da parte delle oligarchie. Ma non a Venezia. Le leggi che vincolavano tutti i membri delle corporazioni allo Stato, mediante giuramento di fedeltà, erano state formulate nel 1265. In base agli statuti, gli ufficiali delle corporazioni, che in alcuni casi venivano scelti dai magistrati e non dai membri, dovevano evidentemente rappresentare il governo nelle corporazioni e non viceversa. Anche dal punto di vista economico, le corporazioni erano stabilmente controllate dal governo. La legge contrattuale rendeva praticamente impossibile per i membri delle corporazioni veneziane assumere più lavoro di quello che potevano gestire e le forniture di materie prime erano organizzate in modo che ogni maestro ne prendesse una parte soltanto. All’interno del sistema corporativo veneziano, la formazione cartelli di ricchi imprenditori era impossibile.

La rigida regolamentazione governativa favorì lo sviluppo di un’ampia varietà di corporazioni, caratterizzate da un’organizzazione interna molto libera, soprattutto nel settore della vendita al dettaglio, sorprendentemente diversificato e aperto. Le corporazioni di Venezia erano notevoli per la varietà delle loro attività: praticamente qualsiasi attività, dal trasporto della sabbia alla merceria, dall’oreficeria alla scuoiatura poteva essere organizzata in una corporazione. A differenza di Firenze, non esisteva la divisione tra Arti maggiori e minori e tutte avevano uno status economico più o meno simile.

Il diritto al ricorso, una tutela importante

La varietà delle corporazioni di Venezia in base alla loro attività forse impedì la formazione di un senso di interesse comune in opposizione allo stato patrizio che rendeva le corporazioni politicamente impotenti. Di contro, esisteva un importante compenso per i membri delle corporazioni. Ciascun membro delle corporazioni prometteva la sua fedeltà allo Stato, ma in materia di giustizia esisteva un accordo reciproco, una specie di contratto sociale. Si tratta del diritto di ricorso dell’individuo, autorizzato dagli stessi statuti, nel caso di controversie giudiziarie. Dunque, una tutela importante, negata a Firenze o a Bologna, dove le corporazioni avevano apparentemente più importanza nella vita politica. A Venezia le occasioni di ricorso giocarono un ruolo fondamentale nella storia delle corporazioni.

Ad esempio, il primo artigiano veneziano di cui conosciamo il nome fu il fabbro Sagorino Giovanni, menzionato in una cronaca riferibile all’anno 1030. A Giovanni furono commissionati alcuni lavori al Palazzo ducale ma egli si oppose, sostenendo che il lavoro poteva essere eseguito tranquillamente nel suo negozio. La controversia finì in arbitrato e il tribunale si dichiarò favorevole all’artigiano e quindi contro il Doge. Verso la metà del XV secolo, il fornaio Pancrazio fu multato di cinquanta ducati dalla sua corporazione e portò il caso davanti a tre tribunali prima di vincere il suo appello e vedere annullata la multa.

Il mito di Venezia

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Fu così che nei secoli XVI e XVII si sviluppò una sorte di mito di Venezia, il mito di una costituzione perfetta, progettata per evitare la discordia sociale. Il modo in cui il conflitto era allo stesso tempo riconosciuto e sublimato dall’esistenza di modalità attraverso le quali si poteva esprimere la protesta suggerisce che il mito avesse un certo riscontro nella realtà quotidiana.

In che modo la famosa stabilità di Venezia riuscì a sopravvivere ai cambiamenti economici e politici? Alla fine del XVI secolo, la città appariva in declino. I cambiamenti avvenuti nei mercati orientali a causa dell’avanzata ottomana, gli sconvolgimenti delle guerre che avevano portato il dominio francese e spagnolo nella penisola e l’inserimento di nuovi mercati che interessavano l’Atlantico al posto del Mediterraneo rappresentavano tutte minacce per la prosperità di Venezia.

Il ruolo delle corporazioni nel declino del xv secolo

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Le corporazioni giocarono un ruolo cruciale nel processo di ripresa e nel Seicento appariva chiaro che la tassazione, anziché l’obsolescenza delle corporazioni, stava ostacolando quel processo. Le corporazioni di Venezia diedero prova di una flessibilità e di un dinamismo straordinari di fronte al cambiamento economico. E lo fecero attraverso la vendita al dettaglio. Le Mercerie rappresentano ancor oggi la più nota arteria commerciale di Venezia. Si trovano nel sestiere di San Marco e collegano la zona di Rialto a Piazza San Marco. Il nome deriva dall’incessante susseguirsi dei negozi dei Marzeri, i merciai, proprietari delle botteghe di vendita di merci che caratterizzavano, e caratterizzano tuttora, il percorso. I merciai formavano una delle arti più antiche di Venezia e vendevano di tutto, dall’ambra ai chiodi, dai bottoni ai profumi, dalle pentole al broccato, merci di produzione locale e di importazione.

Alla fine del Cinquecento esistevano quasi 400 attività commerciali per un numero di membri che ammontava quasi a mille. I merciai erano al centro della vita economica di Venezia e della rete delle corporazioni. Collegando il mondo del commercio internazionale e quello dei negozi al dettaglio, le loro attività fornirono le basi che permisero a Venezia di adattarsi alle mutate circostanze economiche, avvenute nel XVI secolo, e di preservare la prosperità della città. La vitalità del settore del commercio al dettaglio e l’ampia varietà di opportunità occupazionali al suo interno consentirono ai veneziani di prosperare anche a fronte di alcuni segnali di declino.

Il ruolo dello Stato

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L’aspetto economico e politico all’interno delle corporazioni erano indissolubilmente legati. La capacità delle corporazioni di adattarsi al cambiamento fu ostacolata dalle esose richieste dello Stato. Infatti, alla fine del XVI secolo il governo fu costretto a dedicare sempre più risorse alla difesa della città. A quel tempo, Venezia si trovava tra le due grandi potenze del Mediterraneo, l’Impero Ottomano e la Spagna, e stava cercando di competere in un mondo in cui la portata, la durata e il costo delle guerre erano sempre crescenti. Le scorrerie dei turchi e dei pirati costrinsero i veneziani a raddoppiare la flotta nel 1539. Il reperimento di uomini e denaro era un’esigenza costante e lo Stato richiese alle corporazioni la loro parte nel fornirli.

Ma il problema per i veneziani era che la guerra non raggiunse mai il punto di crisi. Per gran parte del XVI secolo, la guerra non fu una questione di grandi vittorie e sconfitte, ma di logoramento del nemico e, per farvi fronte, il prosciugamento delle risorse veneziane fu abbastanza marcato. Alla fine del Cinquecento, con il problema della pirateria sempre più grave, la Repubblica dovette reperire quasi 600.000 ducati solo per tenere pronta la flotta, di cui 130.000 dovettero essere forniti dalle corporazioni.

Il malcontento delle corporazioni

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Di fronte a ciò, le corporazioni mostrano finalmente un atteggiamento di malcontento. Il peso fiscale per ciascun membro era peggiorato dopo la terribile pestilenza del 1575-77 che aveva ridotto la popolazione della città di circa un terzo. Tale perdita poteva essere compensata solo dall’immigrazione dal continente, ma alla fine del secolo i potenziali sostituti furono scoraggiati dalla pesante tassazione veneziana e dalla possibilità di dover prestare servizio sulle galere. I rapporti tra corporazioni e governo divennero tesi e la posizione giuridica delle prime sempre più importante. Dagli anni Ottanta del Cinquecento, le corporazioni iniziarono a lamentarsi con i magistrati del cattivo andamento degli affari, delle troppe tasse e del fatto che le richieste di militari toglievano alle gilde nuovi e vecchi membri.

Nel 1611, anno clou della protesta, alcuni conciatori lasciarono la città, così come alcuni lavoratori stranieri tra gli orafi e gli ebanisti mentre i garzoni dei fornai avevano abbandonato la corporazione sull’orlo del fallimento. Alcune delle corporazioni più ricche si lamentavano dell’umiliazione di dover lasciare il lavoro per andare a prestare servizio come rematori sulle galere. Così, nel 1594, i commercianti delle corporazioni della lana e della seta furono esentati dal fornire personalmente questo servizio e assumere un sostituto. Due anni dopo lo stesso privilegio fu esteso ai mercanti e agli orafi.

Nuovi principi

In tal modo, però, si fece strada il nuovo principio secondo cui tutte le corporazioni non erano più uguali di fronte alla legge e ciò provocò una nuova ondata di proteste contro il governo da parte di coloro che avrebbero dovuto prestare servizio di persona e che non erano stati esentati. Venne a crearsi il principio di corporazioni di serie A e di serie B. Nel 1606 i mercanti di cuoio protestarono per essere stati equiparati ai barcaioli e agli altri mestieri manuali di basso rango. Dopo le pesanti imposizioni del 1610 che crearono un calo degli affari anche dell’80%, le proteste raggiunsero il culmine nel 1611 e 1612. Le corporazioni erano in gravi difficoltà e si stavano indebitando.

Il governo fa marcia indietro

Come tutte le crisi, anche questa passò e ciò fu possibile solo grazie al governo che fece marcia indietro. Ciò rappresentò un trionfo per l’economia delle gilde. All’inizio del XVII secolo, la corporazione dei merciai concesse la piena adesione a coloro che erano allontanati da altri settori, in particolare da quelli manifatturieri. Nel 1660 Venezia contava tanti merciai quanti barcaioli e la corporazione era, entro la fine del secolo, grande quanto qualsiasi altra corporazione operante nel settore tessile. Dato l’ampio bacino d’utenza sociale dei merciai non ebbe senso concedere loro un privilegio legale rispetto alle altre corporazioni. Nel 1639, forse in riconoscimento di ciò, si ebbe un ritorno all’uguaglianza giuridica tra tutte le corporazioni. Inoltre, si stabilì che solo detenuti e vagabondi avrebbero fornito il servizio come rematori sulle imbarcazioni.

Le corporazioni di Venezia, costituzionalmente limitate e prive delle risorse dei patrizi, mostrarono nella loro storia un sorprendente grado di vitalità economica. All’inizio del XVII secolo, nel caso dei merciai, l’economia corporativa, caratterizzata da diversità, flessibilità e spirito indipendente, ebbe la meglio su un governo sempre più autoritario. Si può ritenere che i patrizi furono costretti a riconoscere una sconfitta politica e che i limiti della sovranità aristocratica negli affari della Venezia rinascimentale erano fissati dalle corporazioni stesse.

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