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Umanesimo e Rinascimento in Italia

Rinascimento in Italia
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Umanesimo e Rinascimento rappresentarono un periodo di grande fermento e vivacità culturale e intellettuale, caratterizzato da una profonda trasformazione della società europea. Nacque un nuovo modo di concepire l’uomo e il mondo, che si distaccava dalla visione teocentrica tipica dell’epoca medioevale. L’Umanesimo, con la sua riscoperta dei classici, gettò le basi per il Rinascimento, un’epoca di straordinaria creatività artistica e scientifica.

Umanesimo e Rinascimento in Italia

La civiltà del Rinascimento in Italia fiorì e si sviluppò durante il XV e il XVI secolo, all’interno di un quadro politico estremamente variegato. Infatti, in questi secoli si poté assistere a una parcellizzazione territoriale dei poteri che, oltre ai cinque Stati regionali di Venezia, Firenze, Roma, Napoli e Milano, comprendeva una miriade di principati, repubbliche e ducati dotati di ampia autonomia. Nonostante ciò, la pace di Lodi del 1454 assicurò all’Italia un certo equilibrio e la conseguente tranquillità interna. Questa pluralità di centri produsse risultati straordinari per quanto riguarda la cultura. Infatti, numerose e sfaccettate eccellenze nei campi del sapere e delle arti, sostenute dai mecenati locali, resero l’Italia un modello innovativo a livello culturale.

Inoltre, la moltitudine di stili regionali si affiancò una certa omogeneità di ideali intellettuali diffusi con l’Umanesimo che determinarono un’affinità di contenuti, movimenti e scuole di pensiero. Ad esempio, si assistette a un rispolvero in grande stile della romanità come suprema espressione della civiltà italica, con l’intento di recuperarne l’eredità e utilizzarla per dar vita a nuove e memorabili opere. Ma tutto ciò fu possibile solo considerando l’Umanesimo come precursore imprescindibile del Rinascimento in Italia.

I precedenti: l’Umanesimo

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L’Umanesimo fu un movimento culturale italiano nato a Firenze e poi diffusosi a tutto il resto d’Europa e che gettò le basi della cultura e della civiltà moderna. Ciò fu possibile attraverso un profondo rinnovamento delle lettere, della filosofia, delle scienze, della storiografia e delle arti. Protagonisti di questo rinnovamento furono i letterati impegnati nella vita culturale e civile dei Comuni dell’Italia settentrionale e centrale nel XIII e nel XIV secolo. Gli stessi umanisti concordarono nell’attribuire a Francesco Petrarca il ruolo di iniziatore della riforma degli Studia humanitatis e di autore nella formulazione dell’innovativa ideologia del sapere come frutto dell’esperienza storica dell’umanità.

Gli umanisti si ponevano in contrapposizione al Medioevo, visto come un’epoca limitata dalla visione mistica dell’universo, dalla mortificazione dell’uomo e della sua ragione, del tutto piegata alla volontà divina. Al contrario, l’Umanesimo si basava sul valore della coscienza e dell’azione umana, recuperando la dimensione della storia. Traendo le proprie radici nell’ottimismo della prosperosa borghesia mercantile, il primo Umanesimo ammise la legittimità del benessere materiale ottenuto tramite l’operosa fatica. L’individuo fu posto al centro dell’universo, la ragione e lo spirito dell’uomo furono riconosciuti ed esaltati. L’uomo divenne artefice di sé stesso e del suo destino.

Il ritorno all’antico

Tutto ciò fu reso possibile da due fattori. Il primo fu l’elaborazione di un metodo di pensiero critico che mise in discussione e in crisi la scolastica medievale e le sue sintesi metafisico-teologiche, per cui il sapere non poteva più trovare una sistemazione in un ordine considerato definitivo e divino. Il secondo fattore fu il ritorno all’antico, considerato il terreno prediletto degli studi umanistici. La civiltà classica fu recuperata e vista come modello per una positiva interpretazione dell’uomo e della natura. Dal confronto diretto con l’antico si arrivò a formulare il concetto di modernità e, di conseguenza, ciò che era in mezzo, fu considerato “media tempestas”, il Medioevo. Anche l’epoca medievale aveva guardato all’antichità, ma senza una chiara presa di coscienza del tempo presente rispetto al passato.

Questa operazione fu invece attuata dall’Umanesimo: i testi antichi furono studiati e considerati con la consapevolezza della loro appartenenza al passato e a un determinato contesto storico, diverso da quello attuale. Il lavoro di revisione, che rifiutava ogni concetto di “autorità”, riguardò i classici greci e latini ma anche le Sacre Scritture. Allo stesso modo, nell’arte si rifiutò la pedissequa emulazione del passato a favore dell’imitazione dei processi creativi.

L’incertezza della modernità

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Il liberarsi da forze oscurantistiche e l’affermazione di un’esistenza libera da dogmi, autorità e ordini prestabiliti causò anche una sorta di incertezza per l’uomo moderno. La possibilità di spingersi oltre e di esplorare l’ignoto si tradusse anche in un senso di smarrimento e in nuove responsabilità per l’individuo. La scoperta dell’America nel 1492 e le imprese coloniali rivelarono l’esistenza di un mondo molto più vasto e vario rispetto a quanto si era finora concepito. La Riforma protestante creò un’insanabile frattura tra i cristiani germanici e anglosassoni e la Chiesa di Roma per l’impossibilità di accettare supinamente le tesi sostenute da quest’ultima.

Il Cinquecento se da un lato fu il secolo della massima espressione della civiltà rinascimentale, dall’altro, fu anche l’epoca della crisi dei valori umanistici di equilibrio, razionalità e armonia, una crisi provocata anche dagli avvenimenti politici e religiosi. La storia dell’arte suddivide il Rinascimento in Italia in tre fasi che ben rappresentano i cambiamenti avvenuti. Il primo periodo fu quello di formazione e diffusione del pensiero umanistico. La fase centrale fu dominata dagli ideali di armonia ed equilibrio, il cui culmine fu rappresentato dall’opera di Raffaello, la cui morte nel 1520 ne segnò la conclusione. La terza e ultima fase fu quella del Manierismo, caratterizzata dal crollo delle certezze, dai dubbi, dallo sperimentalismo. Per questo l’arte manierista fu volutamente irrazionale, tormentata, licenziosa, anticlassica.

Il primato fiorentino

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Il Rinascimento in Italia di fatto nacque a Firenze per diffondersi nel resto d’Italia e dell’Europa nel giro di qualche decennio. All’inizio del Quattrocento, a Firenze si venne a creare una congiuntura favorevole al nascere di un nuovo orientamento culturale. La città si era lasciata alle spalle le crisi del secolo precedente, rappresentate dalla peste bubbonica, dal fallimento delle grandi banche dei Peruzzi e dei Bardi, dalla rivolta popolare dei Ciompi. Il potere era stato preso dalla borghesia mercantile che prosperava come non mai. Firenze era una repubblica dove ogni cittadino era chiamato a contribuire all’arricchimento della collettività e dove Stato e cultura si fondevano in un’unica entità: gli uomini impiegati nella gestione della cosa pubblica erano anche eminenti umanisti, mentre intellettuali di spicco erano anche magistrati e diplomatici.

La cultura aveva una vocazione “civile”, il che spiega la predilezione dell’epoca per gli aspetti meramente pratici di essa. Firenze era una città operosa che si poneva come erede spirituale dell’antica Roma repubblicana, animata da una missione civilizzatrice. Per attuare tutto ciò si traeva ispirazione dalla saggezza degli antichi. Si studiavano le dottrine morali e politiche di Aristotele e Platone, dal quale si estrapolò il concetto di “città ideale”, razionalmente concepita. Il primato di Firenze si mantenne tale fino alla fine del Quattrocento, reso possibile dall’eccezionale mecenatismo dei Medici. Cosimo I e Lorenzo de Medici furono i principali committenti di opere d’arte e imprese culturali. Ma anche i privati e la Chiesa non lesinavano con i patrocini, ansiosi com’erano di trovare consensi e riconoscimenti nel nuovo clima che si era creato. Questo pluralismo donò agli artisti la possibilità di esprimersi in numerosi campi e tematiche, laiche e religiose. Fu una novità assoluta.

Prestigiose commissioni

Cupola-Santa Maria del Fiore
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Fu così che tra la fine del XIV e i primi decenni del XV secolo, Firenze iniziò a riempirsi di cantieri che diedero vita a quegli straordinari complessi architettonici e monumentali che possiamo ammirare ancora oggi. Le commissioni più prestigiose erano promosse dalla Signoria e dalle associazioni corporative, le Arti Maggiori. Tra il 1420 e il 1425, celeri furono i lavori per la realizzazione della cattedrale, del suo campanile e del battistero. L’apice fu rappresentato dalla cupola di Santa Maria del Fiore, un’opera straordinaria e innovativa realizzata tra il 1420 e il 1436 da Filippo Brunelleschi. Quest’ultimo rifiutò le tecniche costruttive medievali per rifarsi agli esempi di epoca romana, adottando il modello di struttura autoportante e inaugurando così una nuova architettura.

Con la figura moderna dell’architetto, personificata dal Brunelleschi, con la scultura di Donatello e con la pittura del Masaccio, era nato il Rinascimento in Italia. Queste rinnovate arti, ora rispondevano alle esigenze di sobrietà e razionalità, elementi tipici della mentalità borghese, dando luogo a una nuova forma di rappresentazione. Quest’ultima fu influenzata anche dalle nuove tecniche costruttive, dell’innovativa espressione degli spazi figurativi e delle forme, dall’invenzione plastica.

L’arte nel Rinascimento in Italia

Uno degli aspetti più dirompenti del Rinascimento in Italia fu l’elevazione delle arti visive al rango di Arti liberali. Per la prima volta, gli artisti esercitarono una potente influenza sul pensiero e la vita stessa dell’epoca. Il concetto medievale di arte come attività artigianale, il cui scopo era la creazione di immagini per l’edificazione morale e religiosa, lasciò spazio a un’arte con funzione civile. Per tale motivo l’arte fu considerata dagli uomini del Rinascimento come una delle più importanti espressioni dello spirito e del genio dell’uomo, accanto alla musica, alla letteratura, alle scienze e alla filosofia. Riconosciuto il valore scientifico e speculativo dell’arte, si diede il via a un proliferare di opere di trattatistica e di storiografia artistica, soprattutto grazie a Leon Battista Alberti, Pier della Francesca, Leonardo e Vasari.

L’arte non era più una banale imitazione della forma, ma un’attività intellettuale conoscitiva che non si limitava più a copiare la natura e gli esempi dell’antichità. Grazie ai moderni metodi della ricerca scientifica, come la geometria e lo studio dell’anatomia, l’artista divenne dotto e scienziato, in grado di creare nuove forme che approfondivano e ampliavano la conoscenza del reale. L’artista, ora consapevole del proprio ruolo intellettuale e creativo, rivendica a sé il momento dell’ideazione come fondamentale del processo artistico, di fronte al quale l’esecuzione materiale passa in secondo piano e può essere anche delegata agli altri artisti della sua bottega.

Il Rinascimento e la sua architettura

prospettiva lineare rinascimento
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Inquadrata la realtà in un sistema logico-matematico, la prospettiva lineare divenne un elemento portante della nuova ideologia rinascimentale. A differenza del Medioevo, lo spazio divenne un’entità circoscrivibile in cui l’uomo poteva regolare struttura e immagine. Brunelleschi ritenne la prospettiva lineare il principio da cui dar vita a una nuova architettura, basata su strutture chiare e lineari, dove la composizione dei volumi e la suddivisione degli spazi e delle linee seguivano un principio geometrico e numerico, simili a quelli dell’antichità.

Come accadde nel campo delle lettere, anche per gli architetti rinascimentali, il classico non rappresentava più una dogma da accettare acriticamente e passivamente, ma un modello i cui elementi andavano confrontati, accettati o rifiutati in base alle esigenze dell’attualità e del loro presente. Brunelleschi si mostrò interessato a trarre dall’antico una serie di forme fondate su regole logiche e rispondenti ai sensi. L’adozione di pilastri, colonne, archi, capitelli e frontoni doveva essere funzionale a un’architettura chiara e a dimensione umana.

Gli esempi della nuova architettura

E’ così che la nuova architettura del Rinascimento in Italia, inaugurata da Brunelleschi, riformò la tradizione locale alla luce dei nuovi modelli matematici e geometrici. Tutto ciò si tradusse in una stile lineare nel quale si inserì naturalmente la prospettiva e l’idea di inclusione dello spazio architettonico in uno schema geometrico di ortogonali. Esempi mirabili ne furono gli edifici brunelleschiani dello Spetale degli Innocenti, la chiesa di San Lorenzo, quella di Santo Spirito, la Sacrestia Vecchia, la Cappella dei Pazzi e la cupola di Santa Maria del Fiore.

Leon Battista Alberti

Santa Maria Novella
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L’altra fondamentale personalità della nuova architettura del Rinascimento in Italia fu Leon Battista Alberti. Nato a Genova nel 1404 da una famiglia di mercanti esuli di Firenze, egli studiò a Padova e Bologna e fu in contatto con eminenti umanisti dell’epoca. Viaggiò in tutta Europa e divenne una delle maggiori personalità erudite del Quattrocento. Caduto l’obbligo di esilio, nel 1428 Alberti tornò a Firenze dove conobbe Brunelleschi, Donatello, Ghiberti, Luca della Robbia. Durante successivi soggiorni romani, egli svolse approfondite indagini sulle rovine degli antichi con lo scopo di dedurne regole e leggi utili per la nuova architettura. Con i dati raccolti scrisse l’opera Descriptio Urbis Romae (1443-45) in cui Alberti propose la realizzazione di una pianta geometrica della città e una sua regolarizzazione incentrata sul Campidoglio. Papa Niccolò V lo volle con sé nel progetto di riqualificazione urbanistica di Roma e, per l’occasione, partecipò al progetto di rifacimento della basilica di San Pietro.

Fu in questo periodo che Alberti orientò i suoi studi sempre più verso l’antichità e procedette a una prima interpretazione critica del De architectura di Vitruvio. Grazie alla speculazione teorica e all’attività professionale, Leon Battista Albertì sancì la promozione dell’architettura ad arte liberale. All’architetto fu riconosciuto il suo ruolo creativo e non più solo di mera esecuzione. L’ideologia albertiana sull’architettura era incentrata sul valore dell’armonia, traducibile come composizione unitaria degli edifici con proporzioni stabilite in base ai rapporti musicali, pitagorici e platonici. Massimo esempio di ciò fu la facciata di Santa Maria Novella in cui egli optò per un armonioso compromesso tra le parti gotiche nel livello inferiore e l’inserimento di nuovi e moderni elementi, ottenendo un equilibrio tra le parti basato sulla simmetria e l’adozione del modulo del quadrato.

La città ideale

La città ideale
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Per città ideale si intende il concetto di un centro urbano ispirato a uno schema di tipo geometrico e a principi di razionalità e funzionalità. Questo concetto, pur presente nell’antichità, ebbe particolare forza e sviluppo nel Rinascimento in Italia, quando la città, dopo il declino dell’epoca medievale, riassunse nuovamente il ruolo centrale di luogo privilegiato entro cui opera l’uomo. Alberti contribuì alla formazione del concetto di città ideale come un tutto organico e in cui tutto deve essere a misura d’uomo. Se le città medievali erano nate e si erano sviluppate in modo caotico e disorganizzato, la città rinascimentale doveva invece rispondere al principio di pianificazione seguendo un disegno razionale. L’Italia e il suo pluralismo di città-stato rappresentarono l’ambiente più favorevole alla diffusione delle riflessioni su tale tema.

La città ideale doveva rispondere all’idea di ripartizione di poteri, di funzioni, di classi sociali, secondo progetti non solo architettonici e urbanistici ma anche politici e sociali. Quindi, una città di tale genere doveva rispondere a precise esigenze funzionali. Ai ricchi e potenti erano riservate le parti centrali o elevate, più belle paesaggisticamente e protette mentre i poveri dovevano occupare le zone periferiche. All’interno, gli edifici più importanti dovevano distinguersi per la regolità e l’armonia delle forme architettoniche, principi che sfumavano via via negli edifici destinati alla gente comune fino a scomparire nei quartieri più poveri.

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