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I Carolingi nell’Europa altomedievale

carolingi
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Fra il VI e il VII secolo, quello franco fu il più dinamico fra i regni romano barbarici. Tuttavia, le crisi interne e la debolezza della monarchia lasciarono ampio spazio al potere autonomo dell’aristocrazia, soprattutto quella del regno di Austrasia. Qui, emerse una dinastia che in breve tempo si impose in tutta l’Europa altomedievale: quella dei Carolingi.

Prima dei Carolingi: la monarchia merovingia e i Pipinidi

Clotario
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Nel VII secolo, i Merovingi incontrarono crescenti difficoltà nel governare il regno. L’editto di Clotario del 614 aveva garantito alle grandi famiglie aristocratiche la proprietà dei loro beni, impedendo al re di confiscarli. Inoltre, gli aristocratici avevano assunto rilevanti incarichi pubblici, rafforzando la propria autorità, spesso superiore a quella dei funzionari della corte reale.

Anche la Chiesa, meno legata alla corona rispetto al passato, si trovava sotto l’influenza dell’aristocrazia, che promuoveva la fondazione di chiese e monasteri. Queste istituzioni, di fatto, rimasero sotto il controllo diretto dei nobili.

L’ascesa dei Pipinidi

Di questa situazione approfittarono i Pipinidi. Si trattava di una delle più grandi e potenti famiglie aristocratiche del VII secolo. Pipino II d’Herstal, maestro di palazzo dell’Austrasia, dopo cruenti conflitti, sconfisse a Tertry (687) il maestro di palazzo di Neustria e di Borgogna e le tre regioni furono unificate sotto il suo suo nome. Non si trattava ancora di un’unione totale, poiché in Aquitania, Provenza e Bretagna erano sorti intanto organismi semi autonomi. Inoltre, tra la fine del VII e l’inizio del VIII secolo, la dinastia dei Pipinidi attraversò un momento di crisi per la questione della successione.

Questo momento fu superato quando il potere fu assunto dal figlio illegittimo di Pipino di Herstal, Carlo Martello (714-741), il capostipite della dinastia dei Carolingi. Egli conquistò l’Aquitania e si espanse ai danni degli Alamanni, Bavari, Turingi e Sassoni. Nel 732, Carlo Martello sconfisse i musulmani nell’importante battaglia di Poitiers e ne fermò l’avanzata verso nord. Questa vittoria aumentò il potere della dinastia pipinide, a discapito di quella merovingia. Infatti, alla morte del re merovingio Teodorico IV, nel 737, Carlo non nominò un successore, tanto insignificante era diventato il ruolo del re e assunse direttamente il potere. Quando morì, nel 741, egli spartì il regno fra i suoi tre figli.

Pipino il Breve

 Pipino il Breve
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Nel 747, uno dei figli di Carlo, Pipino il Breve, riunì tutto il potere nelle sue mani, accrescendo ulteriormente l’importanza della dinastia. Il formale riconoscimento del suo ruolo giunse nel 751 con l’appoggio della Chiesa di Roma, decisa a cercare l’alleanza con i Franchi per ottenere autonomia e il primato ecclesiastico sull’Occidente. Nello stesso anno, i grandi del regno acclamarono re Pipino che fu unto con il sacro crisma dal vescovo di Magonza Bonifacio.

Con questo atto, la dinastia merovingia fu estromessa definitivamente dal governo del regno e, per giustificare, la legittimità della nuova dinastia dei Carolingi al potere, si ricorse alla consacrazione religiosa. Il nuovo re era investito del suo potere direttamente da Dio. Una consacrazione ancora più solenne avvenne nel 754, quando il papa Stefano II si recò in Francia per chiedere a Pipino il Breve e ai suoi figli aiuto contro i Longobardi ed essi ricevettero una nuova sacra unzione. Pipino il Breve morì nel 768. Il regno fu diviso tra i figli Carlomanno e Carlo. Nel 771 Carlomanno morì e tutto il potere passò nelle mani di Carlo Magno, con cui la dinastia dei Carolingi raggiunse l’apice del potere.

L’organizzazione dei Carolingi

Il regno dei Carolingi era una potente macchina da guerra, basata sull’esercito popolare. Tuttavia, la sua efficienza era minata dalle difficoltà di reclutamento e armamento di migliaia di persone, sparse su un grande territorio. Inoltre, questi uomini liberi atti alle armi si stavano trasformando in piccoli e medi proprietari, sempre più riluttanti a lasciare i propri beni per andare a combattere. Ma l’esercito franco si basava anche su gruppi di guerrieri e vasti seguiti armati, legati al sovrano e ai grandi gruppi parentali da vincoli di fedeltà e servizio, il vassallaggio.

Il vassallaggio

vassallaggio
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Sebbene non sconosciuti nel mondo romano barbarico, la novità rappresentata dai rapporti di vassallaggio sviluppati dai Carolingi fu l’estensione e l’intensificazione di tali vincoli e la funzione di coesione sociale e politica che essi assunsero. Se nel passato, questi legami avevano unito un capo militare a semplici guerrieri, i nuovi rapporti di vassallaggio legavano ora anche i membri dell’aristocrazia che si attorniarono di individui di minor rango sociale. Avvenne una fusione tra il seguito militare e istituti come la commendatio.

Il vassallo era tenuto a essere fedele al signore e a prestare servizio, soprattutto militare, alle sue dipendenze per la durata del rapporto di vassallaggio, che in genere durava tutta la vita. In cambio era ammesso tra i seguaci del signore che lo manteneva oppure gli conferiva beni per il suo sostentamento.  Tali beni erano detti beneficio. In questo modo, si crearono vasti seguiti che avevano non solo una funzione militare, ma anche politica poiché costituivano un sistema di clientele e alleanze. Il rapporto di vassallaggio dei Carolingi divenne un elemento fondamentale di coesione sociale all’interno delle aristocrazie. I Pipinidi arrivarono al potere grazie all’intensificazione dei rapporti di vassallaggio, concepito da essi come strumento di governo.

L’espansionismo di Carlo Magno

L’espansionismo di Carlo Magno si mosse in varie direzioni. Con numerose spedizioni, egli riuscì a conquistare quelle regioni della Gallia più propense a formare istituti di auto governo e al separatismo. Un certo riconoscimento del separatismo meridionale avvenne con la costituzione del regno di Aquitania, affidato al figlio di Carlo Magno, Ludovico (781). Rimase autonoma la Bretagna. Sempre sul fronte meridionale, un grosso limite all’espansionismo di Carlo Magno era rappresentato dalla presenza degli Arabi. Nel 778 una spedizione conquistò tutta la fascia dei territori iberici sino a Pamplona, quasi subito, però, ripresa dai musulmani.

In questa occasione, mentre Carlo Magno si ritirava verso nord, la sua retroguardia fu sorpresa a Roncisvalle dagli indomiti Baschi, sconfitta e distrutta. Nell’801 Carlo Magno si rivolse nuovamente contro gli Arabi, conquistando Barcellona, Tarragona e, solo temporaneamente, Pamplona. I territori conquistati furono organizzati in una marca di confine con capitale Barcellona.

I Carolingi in Italia e Germania

I Franchi conquistarono l’Italia longobarda nel 774 e Carlo assunse il titolo di re dei Longobardi. Furono condotte ulteriori campagne per smorzare i tentativi di ribellione. Il ducato di Spoleto passò ai Carolingi che, però, non riuscirono a conquistare quello di Benevento, mentre intatta rimase l’Italia bizantina. Prese così corpo la dominazione dei Carolingi nella penisola che durò per oltre un secolo. I Pipinidi riuscirono in tal modo a mantenere salda la loro influenza sul Papato.

Carlo Magno incontrò molte difficoltà nell’espansionismo in Germania, soprattutto a est e nord-est, dove i Frisoni e i Sassoni opponevano una strenua resistenza. Le spedizioni si prolungarono per oltre trent’anni, senza molto successo. Frisoni e Sassoni, inoltre, si opponevano  alla cristianizzazione forzata che Carlo Magno metteva in atto assieme alla conquista militare. Solo alla fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo la conquista poté considerarsi realizzata, anche se ciò avvenne per effetto delle deportazioni forzate dei Sassoni in zone della Francia e il contemporaneo insediamento di coloni franchi.

Nell’802 si emanò la Lex Saxonorum dedicata al governo delle popolazioni assoggettate. Carlo incontrò minori difficoltà nella conquista della Germania meridionale, della Baviera e dall’Austria, da cui mossero le spedizioni per conquistare i territori degli Avari e degli Slavi a est.

Carlo Magno imperatore

carlo magno imperatore
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Si formò così un vasto impero territoriale. Il riconoscimento formale di Carlo Magno imperatore avvenne con l’incoronazione nella basilica di San Pietro a Roma da parte di papa Leone III, nella notte di Natale dell’800. Carlo, ricevendo dal pontefice la corona, divenne erede dell’antico impero romano e sovrano per volontà divina. Con questo atto, si ricostituiva in Europa un impero di matrice romana dopo tre secoli. Ciò significò, non solo l’effettivo dominio di Carlo Magno, ma anche la sua capacità politica di organizzare e gestire l’occidente in forma autonoma rispetto a Bisanzio. Tramite l’appoggio della Chiesa di Roma, l’impero dei Carolingi si presentava con una forte connotazione cristiana.

Ciò rappresentò anche un momento fondamentale nella storia della Chiesa di Roma. Il Papato acquisì enorme prestigio, in quanto da oltre mezzo secolo i papi avevano scelto l’appoggio dei Franchi, ponendo le basi per un rapporto di collaborazione tra i due poteri.

I rapporti con Bisanzio

carlo magno imperatore
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La nascita di un nuovo impero a occidente pose, fin da subito, il problema dei rapporti con l’altro impero, quello di Bisanzio, che si riteneva erede legittimo e unico depositario della tradizione di universalità dell’impero romano. La proclamazione dell’impero dei Carolingi avvenne in un momento di debolezza per Bisanzio, lacerato da conflitti interni e dall’iconoclastia. Contro questo movimento religioso, il Papato e i Carolingi si pronunciarono negativamente a Francoforte nel 794.

Sul trono di Bisanzio vi era una donna, Irene, reggente per il figlio. Il successore, l’imperatore Niceforo I (802-811), accettò l’esistenza di un nuovo impero a occidente e l’autorità di Carlo Magno, che non era più un semplice re. Sulla base di ciò si giunse a un accordo: i Carolingi rinunciarono alle loro pretese su Venezia, l’imperatore di Bisanzio dovette chiamare Carlo con il titolo di imperator.

L’impero dei Carolingi

Il problema di governare il vasto territorio riunito da Carlo Magno sollecitò un grande sforzo di riorganizzazione politica e amministrativa. L’impero dei Carolingi fu un organismo del tutto differente rispetto ai precedenti regni romano barbarici. I vecchi ordinamenti monarchici non erano più sufficienti per governare un territorio così ampio e abitato da popolazioni molto differenti fra loro. Era inoltre cresciuto enormemente il peso dell’aristocrazia, che trascendeva il mero rapporto tra re e i suoi guerrieri. Per governare il loro impero, i Carolingi da un lato introdussero nuove strutture amministrative e dall’altro mirarono a procurarsi vasti seguiti di fedeli, legati dal vassallaggio, che dovevano porsi come l’anello di congiunzione con gli altri sudditi e i seguiti armati. Per questo motivo, intensificarono enormemente i rapporti di vassallaggio.

L’amministrazione centrale era rappresentata dal palatium, costituito dai funzionari e dignitari che operavano a stretto contatto con l’imperatore. La corte aveva carattere itinerante, anche, se con il tempo, Aquisgrana divenne la residenza abituale. Furono eliminati i maestri di palazzo, ma comparvero i conti palatini, con funzioni di supplenza dell’imperatore, soprattutto in campo giudiziario. Si potenziò la cancelleria e l’apparato burocratico per l’amministrazione delle entrare.

Le grandi assemblee e i comitati

conti e marchesi nell'impero carolingio
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Secondo la tradizione, le grandi assemblee annuali continuarono a essere convocate, assumendo nuove funzioni e una diversa composizione. A queste riunioni partecipavano principalmente i rappresentanti dell’aristocrazia militare. Durante le assemblee si pronunciavano sentenze su cause giudiziarie rilevanti, si approvavano i placiti (delibere) e si promulgavano le leggi fondamentali dell’impero, i capitolari, validi per l’intero territorio.

I Carolingi cercarono di dar vita a un nuovo ordinamento territoriale, capace di organizzare le popolazioni entro strutture amministrative e di governo nuove. Nacquero circoscrizioni territoriale dette comitati, dal titolo degli officiali che le presiedevano, i comites o conti. La carica di conte fu estesa ai territori via via conquistati e si procedette a definirne meglio compiti e funzioni. I conti erano alti ufficiali regi, originariamente non ereditati, anche se provenivano da un ristretto numero di famiglie, spesso imparentate con l’imperatore. Essi riunivano i placiti provinciali, convocano l’esercito del loro distretto, presiedevano il tribunale. Potevano essere affiancati dai visconti, che erano a capo di distretti minori del comitato.

La riorganizzazione delle frontiere e i missi dominici

L’impero dei Carolingi fu riorganizzato anche ai confini e nelle aree periferiche. In alcune regioni, abitate da popoli sottomessi, erano stati mantenuti i regni preesistenti, come il regno di Aquitania. Tuttavia, in questi territori si introdussero numerosi vassalli del re e si curarono particolarmente i rapporti con i vescovi. In altre zone ai confini nacquero vasti organismi territoriali, i ducati e le marche. Esse erano spesso costituite dal raggruppamento di più comitati e i loro titolari, i marchesi, avevano poteri più estesi ma simili a quelli dei conti. Le marche erano dotate di importati compiti militari per far fronte ai nemici esterni al di là dei confini.

Il controllo dell’amministrazione locale fu affidato ai missi dominici, funzionari che operavano a coppie, uno laico e uno ecclesiastico, spesso un vescovo. Essi rappresentavano l’elemento di raccordo fra il governo centrale e i funzionari locali, sottoposti al loro controllo. L’efficacia dei missi dominici era, tuttavia, limitata  dalla loro scelta fra importanti personaggi delle regioni in cui avrebbero dovuto operare.

I rapporti vassallatici

Come abbiamo detto, la struttura statale dei Carolingi fu rafforzata tramite un intenso sistema di rapporti di vassallaggio che gli stessi Carolingi diffusero in tutto l’impero, ponendosene al vertice. Le istituzioni vassallatiche facilitarono l’organizzazione della società attorno alla dinastia e divennero strumento di governo. Il sovrano poteva stabilire un legame personale e diretto con i gruppi di seguaci e fedeli che, a loro volta, controllavano le popolazioni rurali. Aumentarono i vassalli del re (vassi regi o vassi dominici), numericamente superiori a conti e marchesi, distribuiti su tutti i territori dell’impero, con terre e uomini alle proprie dipendenze. Essi equilibravano e controllavano il potere dei conti e delle grandi aristocrazie locali collegate al re. La scelta dei conti e dei marchesi ricadde sempre più tra i vassi regi, consolidando ulteriormente i rapporti di fedeltà e dipendenza con il vertice.

Anche le sempre più frequenti concessioni di immunità miravano a rafforzare tali legami. Si trattava di privilegi concessi a favore di vassalli, grandi proprietari ed enti ecclesiastici, con divieto a conti e altri funzionari di entrare nelle loro terre ed esercitarvi le loro funzioni. Queste funzioni furono assunte dai titolari stessi delle immunità. Se i beneficiari delle immunità erano enti religiosi, le funzioni erano esercitate da un laico, detto advocatus, di regola appartenente all’aristocrazia locale. Coloro che beneficiavano delle immunità dipendevano così direttamente dal potere regio.

I rapporti con la Chiesa

rapporti con la chiesa
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I Carolingi posero particolare attenzione alle istituzioni ecclesiastiche, considerate importanti per le loro ricchezze economiche e i rapporti  con l’aristocrazia e il papato, così come per l’influenza sulle popolazioni. I Carolingi vollero restituire agli enti ecclesiastici autorevolezza religiosa ed efficacia di azione pastorale, essenziale per facilitare la convivenza fra le differenti popolazioni dell’impero. Fin dalla metà dell’VIII secolo, i Carolingi intervennero sistematicamente attraverso capitolari e concili che si proponevano una migliore formazione del clero.

Si promosse una riorganizzazione territoriale delle sedi vescovili che erano subordinate ai rispettivi arcivescovi (metropoliti). All’interno delle diocesi vigeva l’organizzazione in pievi. Dunque, l’autorità civile aveva notevole controllo e ingerenza in campo ecclesiastico, arrivando a influenzare la scelta dei vescovi e degli abati. Divenne più stretto il rapporto tra istituzioni ecclesiastiche e civili, andando a rafforzare la Chiesa, anche se era forte il rischio di totale subordinazione al potere temporale.

La rinascita carolingia

Il regno dei Carolingi influenzò anche il campo della cultura. Il regno di Carlo Magno rappresentò un momento di grande impulso e rinnovamento delle arti. Gli interventi di Carlo Magno si diressero inizialmente verso il miglioramento della formazione degli ecclesiastici, chiamando alla corte di Aquisgrana le menti più geniali del suo tempo, come il monaco Alcuino di York che svolse un’intensa opera nell’istruzione scolastica. Dell’Accademia palatina fece parte anche Paolo Diacono, storico di origine longobarda.

La rinnovata attività di studi significò una profonda modernizzazione dei contenuti della conoscenza. La cultura rimase circoscritta alla ristretta cerchia ecclesiastica, ma la rinascita carolingia ebbe grande importanza perché risvegliò quella tradizione di studi che aveva i suoi fondamenti nella cultura classica. In ciò spiccarono gli scriptoria, i centri monastici dove si ricopiavano i manoscritti antichi, e le scuole che sorsero presso le chiese cattedrali, oltre alle numerosissime abbazie, in cui l’insegnamento era articolato nelle arti del trivio e del quadrivio.

Il problema della successione e la crisi dell’impero

La grande costruzione dell’impero dei Carolingi incontrò notevoli difficoltà nel conservare la propria unità territoriale. Le pressioni esterne di popoli mai completamente domati e i contrasti tra i successori di Carlo Magno segnarono un periodo di crisi dell’impero dei Carolingi. Occorreva decidere tra la soluzione unitaria che salvaguardasse l’integrità dell’impero oppure la spartizione, più consona ai bisogni delle clientele raccolte intorno ai diversi eredi.

Ludovico il Pio

impero di ludovico
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Nell’806 Carlo Magno decise di procedere alla spartizione dell’impero tra i figli, riservando al primogenito Carlo il dominio dei territori centrali della compagine carolingia. Ludovico ottenne l’Aquitania, Pipino l’Italia e la Baviera. Tuttavia, con la morte di Carlo e Pipino, nell’813 Ludovico si trovò a essere erede e re unico. Nella sua politica, Ludovico il Pio (814-840) fu mosso dalla profonda convinzione di dover realizzare l’unione e la pace fra tutti i cristiani. Cercò di risolvere il problema della successione con l’ordinatio imperii nell’817 con cui la dignità e il potere imperiale andarono al suo primogenito Lotario.

Gli altri due figli, Pipino e Ludovico il Germanico, ottennero solo il dominio su alcune regioni periferiche come l’Aquitania, la marca spagnola, la Baviera e la marca orientale. Ludovico il Pio cercò così di salvaguardare l’unità dell’impero dei Carolingi.

Le lotte tra i figli di Ludovico

Tuttavia, nell’829, Ludovico il Pio, contravvenendo a quanto disposto in precedenza, assegnò l’Alamannia a Carlo il Calvo, l’ultimo figlio avuto dalla sua seconda moglie. Ciò diede luogo a un lungo conflitto famigliare tra gli eredi. Alla morte di Ludovico, Lotario divenne imperatore come stabilito, ma i fratelli Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo strinsero un patto solenne contro di lui, sancito a Strasburgo (842).

Sconfitto Lotario, con il trattato di Verdun (843), l’impero fu nuovamente spartito in tre parti:

  • Il regno occidentale, a ovest della Mosa e del Rodano, affidato a Carlo il Calvo.
  • Il regno orientale, a est del Reno, andò a Ludovico il Germanico.
  • Il regno centrale, dall’Italia al mare del Nord, fu affidato a Lotario.
divisione dell'impero carolingio
impero di ludovico

Due nuove aree

Questa nuova suddivisione dell’impero portò con sé una differenziazione, ormai definitiva, all’interno del mondo franco tra area germanica e area francese. Tale differenziazione si manifestò anche nella lingua: il giuramento di Strasburgo era stato pronunciato in lingua romanza, cioè in francese, da Ludovico, perché fosse capito dai soldati di Carlo. Quest’ultimo lo pronunciò in lingua germanica affinché fosse inteso dai soldati di Ludovico. L’Italia, invece, mantenne caratteristiche proprie e distinte.

Teoricamente, Lotario, essendo imperatore, rivestiva maggiore autorità, ma tale autorità non riguardava i regni dei fratelli. Egli si trovò a capo di un territorio esteso ma molto disunito e mal coordinato. Quando poi i territori furono spartiti tra i figli alla morte di Lotario, essi divennero obiettivo di conquista da parte di Ludovico e Carlo. Ludovico ottenne la parte settentrionale del regno centrale (Lotaringia) e il confine stabilito con il trattato di Ribemont (881) segnò il limite del regno tedesco. Con la morte dell’ultimo figlio di Lotario, Carlo il Calvo prese l’Italia e il titolo imperiale.

Carlo il Grosso

Carlo il Grosso
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Ma nella storia della dinastia dei Carolingi, alcuni anni dopo gli ultimi fatti narrati, si assistette a una inaspettata ricomposizione dell’impero e della sua unità. L’ultimo figlio di Ludovico il Germanico, Carlo il Grosso, grazie alla morte dei fratelli e ad alcune fortunate operazioni, riunì nelle sue mani quasi tutti i territori dei Carolingi e fu incoronato imperatore a Roma nell’882 da papa Giovanni VIII.

Tuttavia, ciò non ebbe durata e l’unità si rivelò illusoria, a causa della debolezza dell’imperatore e della frammentazione ormai irreversibile dei territori. Nell’888, i “grandi” tedeschi e francesi costrinsero Carlo il Grosso ad abdicare.

Nuovi attacchi e invasioni

La crisi dell’impero fu acuita da una serie di nuovi attacchi provenienti dall’esterno, soprattutto nel corso del IX secolo.

I Normanni

I Normanni provenivano dalla Scandinavia e, già alla fine dell’VIII secolo, cominciarono ad attaccare le coste dell’Inghilterra e del mare del Nord. Dalle coste riuscirono a penetrare nella parte meridionale dell’Europa, saccheggiando sistematicamente l’entroterra. Nella seconda metà del IX secolo, i Normanni comparvero a più riprese nel Mediterraneo, in Africa e in Italia.

I musulmani

Tra il IX e il X secolo, i musulmani ripresero la spinta espansionistica che portò all’occupazione della Sicilia e alla riconquista di alcuni territori della Spagna. Queste fasi furono accompagnate da intense razzie a opera di gruppi di pirati che rendevano insicura la navigazione e andavano a colpire gli Stati cristiani. Partendo dalla Sicilia, essi riuscirono a fondare tutta una serie di insediamenti fortificati lungo le coste italiane e francesi. Dalle loro basi muovevano in veloci spedizioni, penetrando in profondità nell’entroterra. In Italia, i pirati arabi furono chiamati Saraceni.

Gli Ungari

Gli Ungari, anche detti Magiari, erano sospinti verso occidente dal movimento di altre popolazioni asiatiche. Alla fine del IX secolo si stabilirono nella pianura tra il Danubio e la Pannonia. Da qui attaccarono, spesso rovinosamente, con spedizioni verso occidente, spingendosi fino in Germania, Fiandre, Borgogna, Aquitania e in Italia, dove molti centri urbani, come Pavia e Brescia, furono saccheggiati.

Anche questo popolo approfittò della mancanza di coordinamento degli eserciti dell’impero franco. Furono definitivamente sconfitti solo nel 955 da Ottone I che li fece stanziare in Pannonia, dove diedero vita a un forte regno, poi convertitosi al cristianesimo.

La crisi dell’unità dei Carolingi

Come abbiamo detto, queste scorrerie accelerarono la crisi dell’impero, aggravata dalle ripetute suddivisioni fra i discendenti di Carlo Magno. L’aver suddiviso l’impero in regni distinti corrispose alla disgregazione dell’unitario organismo politico. Infatti, all’interno dei singoli regni sorsero distinti apparati di governo. Seguiti di vassalli e clienti si riunivano intorno ai rispettivi sovrani.

L’ereditarietà delle cariche

Ma fattori più profondi portarono alla fine del regno dei Carolingi. La minore autorità dei sovrani si accompagnava alla progressiva debolezza dei principali strumenti di governo dei Carolingi stessi. Si disgregava l’ordinamento pubblico basato sui conti e marchesi, sempre più svincolati dal controllo e dal potere del re. Queste cariche divennero vitalizie e poi ereditarie all’interno della stessa famiglia. Dall’altro lato, si allentarono i rapporti personali di fedeltà, i legami vassallatici che avevano assicurato alla dinastia dei Carolingi le alleanze con potenti e guerrieri di tutto il regno.

Il beneficio divenne parte del patrimonio del vassallo e, come tale, trasmesso in eredità, una prassi ormai largamente diffusa nella metà del IX secolo. Anche coloro che avevano beneficiato di un’immunità si liberarono dal controllo del sovrano, tendendo a esercitare autonomamente e a proprio esclusivo vantaggio quei privilegi. Conti, vassalli e fedeli mostravano chiaramente la tendenza a trasformare in patrimonio personale i possessi che avevano ricevuto in delega e a trasmetterli ereditariamente.

Poteri signorili autonomi e dinastici

I funzionari, dunque, si trasformarono in signori autonomi, piccoli sovrani locali, non più dipendenti dal re, ma liberi titolari di ricchezze che consentivano loro autonoma affermazione, se non antagonismo diretto con il re. Se un tempo il loro potere dipendeva dalle cariche pubbliche, ora si fondava su basi patrimoniali e dinastiche. Inoltre, i signori locali potevano estendere le loro funzioni in ambiti territoriali diversi dalle circoscrizioni originarie e potevano attirare fedeltà e alleanze anche da altri territori.

Si formarono così potenti lignaggi che diedero vita a solide dinastie signorili. Questi processi di disgregazione dell’organismo politico dei Carolingi si ripetevano su scala minore, all’interno dei comitati e delle marche di confine, dove si affermarono signorie e dinastie con a capo visconti o custodi di fortezze.

La dissoluzione

Anche il precedente ordinamento territoriale e amministrativo, basato sui comitati e le marche, si sfaldò. Al loro posto, presero vita nuove aggregazioni territoriali, come signorie rurali e principati che, a loro volta, riunirono clientele e gruppi di fedeli. I re non avevano più le risorse per contrastare queste tendenze.

La crisi dell’impero coinvolse anche le istituzioni ecclesiastiche e venne meno lo stretto rapporto che si era costituito con l’autorità regia dei Carolingi. Ciò ebbe un duplice effetto. Da un lato, il potere regio perse l’aiuto della Chiesa e i sovrani dovettero rinunciare al controllo sugli enti ecclesiastici. La loro debolezza fece sì che altre forze politiche, come signori e dinasti locali, esercitassero la loro influenza su vescovati e monasteri. Dall’altro lato, le istituzioni ecclesiastiche, proprio perché private del sostegno regio, persero progressivamente la loro autonomia. Mantennero forte influenza sulle popolazioni e sui fedeli, ma furono sottoposte al controllo di laici.

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